Carcinoma uroteliale, in Italia arriva avelumab

Carcinoma uroteliale della vescica (immagine: Wikipedia)

Colpisce 313.600 persone in Italia, contando 25.500 nuove diagnosi e oltre 6 mila decessi nel 2021. Sono i numeri del carcinoma uroteliale, un tumore che nella maggior parte dei casi si sviluppa a partire dall’urotelio, ossia l’epitelio che riveste la vescica, ma che può avere origine anche da pelvi renale, uretere, uretra.

Fino a oggi i pazienti che mostravano una stabilità della malattia al termine della chemioterapia di prima linea venivano sottoposti a un periodo di osservazione clinica e strumentale per individuare precocemente la progressione della patologia, da contrastare con un trattamento di seconda linea.

Con l’obiettivo di mantenere il più a lungo possibile il risultato raggiunto dalla prima linea e di ritardare l’evoluzione della neoplasia, l’agenzia regolatoria italiana ha ora approvato avelumab, un anticorpo monoclonale che inattiva PD-L1, una proteina presente sulla superficie delle cellule tumorali che consente loro di eludere il sistema immunitario.

Lo studio su 700 pazienti

La rimborsabilità nel nostro Paese, che segue quella avvenuta negli Stati Uniti nel luglio 2020 e in Europa nel gennaio 2021, è stata disposta sulla base dei risultati a lungo termine (38 mesi) dello studio di fase 3 Javelin Bladder 100, presentati durante il Genitourinary Cancers Symposium dell’American Society of Clinical Oncology.

Il trial ha coinvolto 700 pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato non resecabile o metastatico che non mostravano segni di progressione dopo quattro-sei cicli di chemioterapia di prima linea (gemcitabina più cisplatino o carboplatino). I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno ha ricevuto avelumab e la terapia di supporto, l’altro solo la terapia di supporto.

I dati hanno evidenziato nel primo gruppo una sopravvivenza globale mediana di 23,8 mesi, nel secondo gruppo di 15 mesi, con un incremento di sopravvivenza che si attesta, quindi, a 8,8 mesi.
Nel sottogruppo di pazienti positivi a PD-L1, la sopravvivenza mediana è stata di 30,9 mesi nel braccio sperimentale e di 18,5 mesi in quello di controllo.

Miglioramento della sopravvivenza libera da malattia

La sopravvivenza libera da progressione è risultata superiore con immunoterapico e terapia di supporto rispetto alla sola terapia di supporto, sia in tutti i pazienti trattati (5,5 mesi contro 2,1 mesi), sia in quelli con tumore positivo a PD-L1 (7,5 mesi contro 2,8 mesi).
Infine, gli assistiti che hanno dovuto effettuare una terapia in una linea successiva sono stati 185 nel braccio avelumab e 252 nel braccio di controllo. Tale trattamento comprendeva un inibitore di PD-L1 rispettivamente nell’11,4% e nel 53,1% dei casi.

Pochi effetti collaterali

Un ulteriore elemento a favore della molecola è la limitata tossicità.
«Il farmaco non solo si è rivelato efficace nel controllo della malattia, ma anche ben tollerato», ha confermato Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia e della Struttura Complessa di Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni. «E questo è di estrema importanza, visto che i pazienti trattati sono spesso anziani e affetti da molte altre patologie».

Paola Arosio