L’efficacia delle terapie CAR-T è documentata dalla letteratura per il trattamento dei tumori del sangue, ma permangono incertezze per i tumori solidi. Tuttavia, nel tempo sono stati pubblicati anche usi alternativi delle CAR-T, in particolare nel trattamento di soggetti adulti affetti da lupus eritematoso. Basandosi sui risultati di questi lavori, i ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù hanno voluto testare l’efficacia di queste terapie cellulari anche su casi pediatrici con patologie particolarmente gravi e refrattarie ai trattamenti comuni.

Per poter procedere l’ospedale della Santa Sede ha anzitutto chiesto all’Agenzia Italiana del Farmaco l’autorizzazione per uso non ripetitivo (hospital exemption) del trattamento CAR-T.

I pazienti selezionati sono 3: una ragazza messinese di 17 anni affetta da lupus, una ragazza romana di 18 anni con lupus e un bambino di 12 anni, ucraino, con dermatomiosite. Tutti hanno già ricevuto il trattamento da qualche mese, rispettivamente da nove, sette e due.

I primi due sono oramai in fase di remissione di malattia e hanno smesso l’assunzione delle terapie convenzionali, mentre l’ultima è a casa e gode di generali buone condizioni di salute, mentre prima aveva richiesto una ospedalizzazione di 6 mesi con momenti ad alta complessità e ripetuti ricoveri in Terapia Intensiva. 

Il commento dei ricercatori

I dati raccolti per questi tre casi sono stati presentati all’ultimo congresso europeo di reumatologia pediatrica tenutosi, a Rotterdam e a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR.

Questi «sono dati assolutamente rilevanti», spiega Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’area di ricerca di Immunologia, Reumatologia e Malattie infettive dell’ospedale romano. «Tutti e tre i pazienti avevano risposto in maniera insoddisfacente a terapie immunosoppressive aggressive, necessarie per la gravita della loro malattia, e allo stesso tempo avevano sviluppato importanti effetti collaterali.

I risultati ottenuti con le cellule CAR-T ci incoraggiano a proseguire nella direzione di un trial clinico che possa comprendere un numero più ampio di pazienti pediatrici affetti da varie malattie autoimmuni in cui un ruolo fondamentale nello sviluppo è giocato dai linfociti B».

Il bersaglio utilizzato per le terapie CAR-T sviluppate è il medesimo che si utilizza nei casi di patologie del sangue, ovvero il CD19: «usando lo stesso bersaglio», spiega Franco Locatelli, responsabile dell’area di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Pediatrico Bambino e professore Ordinario di Pediatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore, «trasliamo il medesimo approccio di terapia genica da un contesto di malattia neoplastica a un contesto di patologia non neoplastica, ma dove gli elementi che producono il danno sono i B-linfociti che esprimono CD19». 

Il ruolo della terapia genica nella medicina moderna e del futuro

Conclude il presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Tiziano Onesti: «la terapia genica rappresenta una sfida e un’opportunità unica per i sistemi sanitari globali. Ci consente di offrire risposte concrete a pazienti che fino a poco tempo fa erano senza speranza, affrontando malattie genetiche e condizioni cliniche gravi in modo personalizzato e mirato.

Inoltre, la terapia genica promette di emancipare i pazienti da condizioni di cronicità, migliorando la loro qualità di vita e riducendo i costi a lungo termine associati alla gestione delle malattie croniche. Questa rivoluzione medica non solo offre speranza e guarigione, dunque, ma anche la possibilità di rafforzare la sostenibilità dei sistemi sanitari, liberando risorse per migliorare la salute generale e promuovere ulteriori scoperte mediche». Non è un caso che lo sviluppo di terapia genica faccia parte della missione 6 del PNRR.