I dati mondiali più recenti relativi alla diffusione del cancro sono del 2022, resi noti nei primi mesi del 2024 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e, in particolare, dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro – IARC.
Nell’anno di riferimento sono state registrate circa 20 milioni di nuove diagnosi e 9,7 milioni di morti per cancro; lo stesso anno, i pazienti ancora vivi a 5 anni dalla diagnosi erano 53,5 milioni. Si stima che circa 1 persona ogni 5 svilupperà un tumore nell’arco della vita: di queste, circa 1 uomo su 9 e 1 donna su 12 morirà per la malattia. E come se questi numeri non bastassero, l’OMS ha anche effettuato una stima dell’aumento di numeri di casi entro il 2050, che dovrebbe aggirarsi sul 77%, arrivano a circa 35 milioni di casi l’anno.
La situazione nel nostro Paese rispecchia quella mondiale. Il rapporto “I numeri del cancro 2023” parla di un incremento di oltre 18 mila casi tra il 2020 e il 2023, aumento che continuerà certamente a crescere nei prossimi anni, vuoi per la continuità di stili di vita rischiosi, come sedentarietà, tabagismo e consumo di alcol, vuoi per la qualità dell’ambiente in cui viviamo, sempre più inquinato, vuoi per l’invecchiamento della popolazione. Si stima, infatti, che le diagnosi aumenteranno soprattutto tra gli over 65.
Infine, concorre al crescere del numero di pazienti con cancro anche la capacità diagnostica, sempre più fine e precisa, che permette di individuare più soggetti malati. Ma il sistema Italia è pronto per fronteggiare la sfida in arrivo?
I numeri salgono, ma il personale scende
Mi rendo conto che negli ultimi anni ogni situazione che si delinei all’orizzonte viene definita come “sfida”, rischiando di creare allarmismo. D’altronde, in un sistema sempre più globalizzato e caratterizzato da diseguaglianze economiche e sociali, problematiche ambientali e così via, cresce la complessità.
La vera sfida, quindi, è riuscire a modificare la visione e l’approccio alle malattie per renderlo adatto a gestire la complessità. Il tutto in un mondo che cambia velocemente.
Per quanto riguarda la gestione del cancro in Italia, le questioni da affrontare sono sostanzialmente 3. L’aumento previsto del numero di casi contrasta con la riduzione costante del personale specializzato e l’aumento dei costi associati alla cura, dovuto principalmente al costo dei nuovi farmaci. Inoltre, dal momento che questi farmaci innovativi sono efficaci e riescono in molti casi a cronicizzare la malattia e, quindi, a guarire le persone, è importante poter continuare a utilizzarli.
La risposta fornita nel corso dell’evento, tenutosi a Genova, è la “Rete”. Affrontare la complessità richiede collaborazione, tra ospedale e territorio e tra diversi centri esperti a livello regionale, ma anche collaborazione e confronto a livello nazionale e internazionale.
Tutto ciò richiede anche dei cambiamenti di carattere culturale: rinunciare a essere “I Migliori” per aprirsi alla possibilità che tutti possano dare il proprio contributo, che sia a livello di ricerca che di organizzazione.
La parola agli esperti sulle Reti
Paolo Pronzato, coordinatore Dipartimento Interaziendale Regionale, Diar Oncoematologia, ALiSa – Azienda Ligure Sanitaria e Presidente Comitato Scientifico Associazione Periplo, sottolinea che «le Reti rappresentano il mezzo migliore per affrontare la tempesta perfetta del cancro. Nei prossimi dieci, venti anni, complici l’aumento della popolazione mondiale e le innovazioni nel settore, registreremo un maggiore numero di casi osservati, anche se l’incidenza non aumenterà.
In Italia i profili maggiormente a rischio saranno gli ultra sessantacinquenni. Accanto a questo, dovremo fronteggiare il problema dei costi delle cure: si può guarire o cronicizzare la malattia, ma le tecnologie e i farmaci hanno un prezzo elevato. Il terzo nodo problematico deriva dalla carenza di personale specializzato e infermieristico». Sempre secondo Pronzato non bisogna però dimenticare l’altro cardine della gestione del cancro, ovvero la prevenzione secondaria.
Gianni Amunni, coordinatore scientifico Ispro – Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica, Regione Toscana e Direttore Dipartimento Oncologico, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze, aggiunge «oggi il numero di pazienti che guariscono e che vanno incontro a cronicizzazione si traduce in un incremento incredibile dei casi prevalenti, cioè di persone che hanno ricevuto una diagnosi di tumore.
Per questo va riorganizzata l’offerta oncologica su modelli innovativi: adesso è quasi soltanto ospedaliera, eppure buona parte del percorso si svolge fuori. Serve un’oncologia territoriale in grado di occupare questi tempi». La Rete deve estendersi anche alla ricerca oncologica, per cui «vorremmo ragionare non solo su come sostenerla, ma anche su come iniziare a pensare a una ricerca di Rete, mezzo con cui tutti i professionisti siano coinvolti in un lavoro di squadra, ragionando sulle intere casistiche regionali».
E ciò vale anche per la ricerca farmacologica, ovvero per la valutazione di efficacia clinica di un certo nuovo potenziale farmaco antitumorale.