In Italia sono circa 350 mila i pazienti affetti da artrite reumatoide, una forma di artrite infiammatoria a carattere autoimmune che interessa le donne con frequenza tre volte superiore rispetto agli uomini e che ha spesso un esordio tra i 40 e i 60 anni. Con gli strumenti terapeutici già a disposizione se la diagnosi è precoce si può ottenere una completa remissone della patologia in circa il 50% dei pazienti.

Nuovi dati di letteratura suggeriscono che si possa addirittura evitare che la patologia si manifesti o bloccarne la progressione agli esordi con un nuovo farmaco, abatacept. Per farlo è però necessario individuare i soggetti a rischio, trovando modo di diagnosticare la fase prodromica della malattia, caratterizzata da artralgie che non si affiancano ai sintomi cardine dell’artrite reumatoide.

Due nuovi studi, entrambi randomizzati e pubblicati su Lancet, portano nuove importanti informazioni. Si tratta di APIPPRA e di AARIA, il primo condotto in 30 centri britannici e uno olandese su 213 soggetti a fortissimi rischio di sviluppare la patologie, e il secondo su 100 pazienti afferenti a 14 centri ospedalieri europei. I pazienti sono tutti classificati come “very early”, perché con dolori articolari ma senza altri sintomi di malattia.

Gli studi

La prof.ssa Maria Antonietta D’Agostino, direttrice della UOC di Reumatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma e ordinaria di Reumatologia presso l’Università Cattolica ha collaborato al disegno di entrambi gli studi.

In APIPPRA i pazienti sono stati individuati perché positivi per il fattore reumatoide o per l’anticorpo anti-citrullina (ACPA-positivi), mentre nel secondo perché con VES e PCR aumentata, a testimonianza del processo infiammatorio in corso. In entrambi gli studi i pazienti sono stati randomizzati in due coorti: una trattata con abatacept e l’altra con placebo. In entrambi i lavori l’endpoint primario era valutare se il farmaco possa evitare l’esordio della malattia o bloccarne l’evoluzione.

In APIPPRA si è osservato che a 12 mesi dall’inizio del trattamento solo il 9% del gruppo studio aveva sviluppato artrite reumatoide, contro il 29% del controllo. A 24 mesi la distanza percentuale si accorcia, con un 25% nel gruppo di studio contro il 37% di quello di controllo. In questo lavoro l’avanzamento di patologia è stato osservato con un nuovo score ecografico, OMERACT-EULAR, ideato dalla prof.ssa D’Agostino. In AARIA, invece, ci si è concentrati su una risonanza magnetica alla mano.

In questo lavoro si è osservato che il farmaco permette la riduzione dell’infiammazione nel 57,1% dei pazienti trattati, contro il 30,6% del gruppo placebo. Per quanto riguarda l’esordio di patologia, questo avviene solo nell’8% del gruppo studio contro il 34,7%. 

Messaggi per gli addetti ai lavori

Maria Antonietta D’Agostino

Spiega D’Agostino: «i take home message di questi studi sono diversi. Il primo è che i pazienti a rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, cioè quelli con positività per gli anticorpi anti-citrullina e con dolori articolari persistenti, devono essere monitorati in maniera costante e ravvicinata, dato che al momento non sappiamo quali soggetti con queste caratteristiche svilupperanno la malattia e quali non la svilupperanno. I pazienti con dolori articolari, di entità tale da tenerli svegli la notte o che presentano rigidità mattutina per almeno un’ora, con dolori costanti perduranti per qualche mese sono tra quelli più a rischio, e dovrebbero consultare un reumatologo, anche se le articolazioni non appaiono gonfie.

Il secondo messaggio è che l’ecografia consente di individuare i pazienti a maggior rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, perché il riscontro di sinovite ecografica o di segni infiammatori alla RMN, li fa inquadrare come pazienti attivi, cioè con artrite conclamata, ma clinicamente non visibile. Il terzo punto importante è che trattare i soggetti ad alto rischio con un farmaco biologico come l’abatacept in fase precoce, non solo non crea problemi di safety, ma rallenta l’evoluzione verso l’artrite reumatoide clinicamente evidente.

Lo studio che utilizza l’ecografia prevede tra l’altro un follow-up esteso a 5 anni con controlli ecografici, radiografici e clinici per vedere se nel gruppo trattato con abatacept per 12 mesi, l’efficacia del trattamento nel prevenire la comparsa della malattia, si mantiene anche a lungo termine». Aspettiamo quindi di vedere anche i risultati a 5 anni dall’inizio del trattamento. 

Studio: Rech J, Tascilar K, Hagen M, Kleyer A, Manger B, Schoenau V, Hueber AJ, Kleinert S, Baraliakos X, Braun J, Kiltz U, Fleck M, Rubbert-Roth A, Kofler DM, Behrens F, Feuchtenberger M, Zaenker M, Voll R, Venhoff N, Thiel J, Glaser C, Feist E, Burmester GR, Karberg K, Strunk J, Cañete JD, Senolt L, Filkova M, Naredo E, Largo R, Krönke G, D’Agostino MA, Østergaard M, Schett G. Abatacept inhibits inflammation and onset of rheumatoid arthritis in individuals at high risk (ARIAA): a randomised, international, multicentre, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet. 2024 Feb

– Cope AP, Jasenecova M, Vasconcelos JC, Filer A, Raza K, Qureshi S, D’Agostino MA, McInnes IB, Isaacs JD, Pratt AG, Fisher BA, Buckley CD, Emery P, Ho P, Buch MH, Ciurtin C, van Schaardenburg D, Huizinga T, Toes R, Georgiou E, Kelly J, Murphy C, Prevost AT; APIPPRA study investigators. Abatacept in individuals at high risk of rheumatoid arthritis (APIPPRA): a randomised, double-blind, multicentre, parallel, placebo-controlled, phase 2b clinical trial. Lancet. 2024 Feb