Tumore al polmone, nuovi dati di efficacia di trattamenti

Tante le indicazioni arrivate dall’ultimo congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO). Qui un breve riassunto.

I tumori al polmone sono spesso insidiosi, perché non danno sintomatologia prima di essere molto estesi e quindi difficili da trattate. Lo testimonia il tasso di sopravvivenza a 5 anni, pari al 16% negli uomini e al 23% nelle donne. La loro diffusione è molto alta, soprattutto nei Paesi Occidentali. In Italia è la seconda forma tumorale negli uomini, per incidenza, e la terza nelle donne ed è anche la prima causa di morte per tumore negli uomini e la seconda nelle donne. Il mondo della ricerca sta lavorando per riuscire a individuare strategie terapeutiche capaci di migliorare questi dati, cercando anche forme di stratificazione e tipizzazione della malattia e farmaci più adeguati per ognuna. Nuovi dati arrivano dal congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO).

Gli esiti a lungo termine dello studio CHRYSALIS

Tra questi, anche i risultati a lungo termine dello studio CHRYSALIS in cui si valuta l’efficacia di amivantamab in combinazione con lazertinib, un inibitore di terza generazione della tirosinchinasi (TKI) del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). In questo caso, il tumore in questione è quello a non piccole cellule.

Spiega Se-Hoon Lee, professore di Medicina presso il Samsung Medical Center e la Sungkyunkwan University School of Medicine in Corea del Sud, e autore della presentazione: «il tumore polmonare non a piccole cellule con mutazione dell’EGFR in stadio avanzato ha un tasso di sopravvivenza a cinque anni inferiore al 20%.

È chiara, dunque, la necessità di opzioni terapeutiche sempre più mirate e destinate a linee di terapia precoci. I dati a lungo termine dello studio CHRYSALIS dimostrano il potenziale della combinazione amivantamab e lazertinib come trattamento di prima linea per questa popolazione di pazienti».

Vediamo di che numeri si parla. A quasi tre anni dall’inizio del percorso terapeutico, la coorte naïve dello studio non ha ancora raggiunto gli obiettivi in termini di durata mediana della risposta (DOR), sopravvivenza mediana libera di progressione (PFS) e sopravvivenza globale (OS), ma la combinazione si è dimostrata sicura in modo coerente alle precedenti analisi.
Il tasso stimato della PFS, per esempio, è stato dell’85% il primo anno, del 65% il secondo e del 51% il terzo.

Il ruolo della mutazione MET come marcatore

Lo studio ha inoltre confermato, in linea con i dati presentati nel 2021, che l’analisi immunoistochimica per la mutazione MET consente di identificare i pazienti che hanno maggiori probabilità di godere della sinergia tra amivantamab e lazertinib.

CHRYSALIS, infatti, mostra come in pazienti con MET sovraespresso la terapia combinata tra amivantamab e lazertinib permette di avere una risposta del 61%, con una PFS mediana di 12,2 mesi.
Se, al contrario, il MET è poco espresso, la risposta è solo del 14%, con una PFS mediana di 4,2 mesi.
Questi dati confermano quindi l’utilità di analizzare i campioni tumorali del paziente per caratterizzarlo al meglio, prima di scegliere una opzione terapeutica.

Primi risultati anche per amivantanab per via sottocutanea

Il Congresso ASCO è stato occasione anche per presentare aggiornamenti dello studio di fase 1 PALOMA, nel quale si valuta la sicurezza dell’uso della formulazione sottocutanea di amivantamab in monoterapia. Anche questo è uno studio in aperto, con pazienti in fase avanzata.

Al momento amivantanab viene utilizzato in somministrazione endovenosa, con una dose frazionata in due giorni: il primo si somministrano 1050 mg, in circa quattro ore di tempo; il secondo 1400 mg in sei ore.

PALOMA dimostra che la dose sottocutanea può essere somministrata in soli sette minuti, senza esigenza di frazionamento. Inoltre, la somministrazione sottocutanea sembra essere più sicura di quella endovenosa, con una riduzione degli eventi avversi.