Lo scorso 13 gennaio, sulla base dei risultati dello studio di fase 1 CHRYSALIS, amivantamab ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata nel trattamento di pazienti adulti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato, a seguito del fallimento con la terapia a base di platino.
Arriva il primo trattamento in assoluto approvato nell’Unione Europea per il carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato, caratterizzato da inserzione dell’esone 20 attivante EGFR. Amivantamab aveva già ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration lo scorso maggio.
Il carcinoma polmonare, alcuni dati
Si stima che nel 2020, a livello Europeo, 477.534 pazienti abbiano ricevuto una diagnosi di tumore del polmone, la patologia oncologica che ancora oggi miete più vittime in assoluto. Nell’85% dei casi si è trattato di carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). Tra le mutazioni più comuni di questa specifica patologia oncologica sono presenti quelle del gene codificante per il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), un recettore tirosin-chinasico che aiuta le cellule a proliferare e a dividersi. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni per i pazienti con NSCLC metastatico e mutazioni EGFR che sono trattati con EGFR TKIs è inferiore al 20%. I pazienti con mutazioni dell’inserzione dell’esone 20 di EGFR hanno una sopravvivenza complessiva a cinque anni dell’8%.
L’amivantamab
Amivantamab è un prodotto Janssen, di Johnson&Johnson, che ha ottenuto lo scorso 13 gennaio un’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata. Amivantamab potrà quindi essere utilizzato nel trattamento di pazienti adulti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato, EGFR-mutato con inserzione dell’esone 20, che hanno fallito la terapia a base di platino.
Si tratta di un anticorpo bispecifico EGFR-MET completamente umano con attività mediata da immunità cellulare che agisce sulle mutazioni attivanti e di resistenza di EGFR e sulle vie di attivazione di MET. Amivantamab è attualmente in sperimentazione in diversi studi clinici.
Le ragioni dell’autorizzazione
L’autorizzazione si basa sui risultati dello studio di fase 1 CHRYSALIS che ha valutato amivantamab in monoterapia. L’autorizzazione condizionata consiste nell’approvazione del farmaco, rispondente a necessità dei pazienti non ancora soddisfatte, sulla base di dati meno completi di quanto normalmente richiesto, laddove il beneficio derivante dalla sua disponibilità immediata ne superi il rischio. In momenti successivi, l’azienda farmaceutica richiedente l’autorizzazione (Janssen) fornirà dati clinici maggiormente esaustivi.
«I pazienti affetti da NSCLC con mutazioni di inserzione dell’esone 20 di EGFR dispongono di poche opzioni terapeutiche, sia in numero sia in efficacia. La decisione della Commissione Europea rappresenta un traguardo importante perché riconosce che amivantamab sia un nuovo tipo di trattamento, specificatamente rivolto a pazienti con tumore al polmone che presentino questa tipologia di alterazioni», ha commentato Antonio Passaro, oncologo medico della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
Lo studio CHRYSALIS
CHRYSALIS è uno studio di fase 1 in aperto, multicentrico e il primo sull’uomo per valutare la sicurezza, la farmacocinetica e l’efficacia preliminare di amivantamab come monoterapia, in combinazione con lazertinib e in combinazione con chemioterapia a base di platino, in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato che presentano varie mutazioni di EGFR.
I dati dello studio di fase 1 hanno dimostrato efficacia e un profilo di sicurezza generalmente ben tollerato. Il tasso di risposta complessiva valutata dagli sperimentatori è stato pari al 37% con una durata mediana complessiva della risposta pari a 12,5 mesi; il 64% per cento dei pazienti ha mostrato una durata della risposta pari o superiore a 6 mesi.
Le analisi hanno dimostrato, nei pazienti trattati con amivantamab, una sopravvivenza mediana libera da progressione (tempo trascorso senza progressione o morte) di 8,3 mesi e una sopravvivenza globale mediana 22,8 mesi.
Gli eventi avversi più comuni di ogni grado hanno incluso rash (76%), reazioni legate all’infusione (67%) e paronichia (47%). Le interruzioni dovute a eventi avversi sono state osservate nel 3% dei pazienti. Reazioni correlate all’infusione si sono verificate, nel 99% dei casi, con le prime infusioni e raramente hanno influito sulla possibilità di continuare i trattamenti successivi, interrotti solo nell’1,1% di casi.
Elena D’Alessandri