Nei testi scolastici si legge spesso che l’intestino umano è lungo poco più di sette metri: una misura corretta se si esplicita che viene presa su cadavere. Alla morte, infatti, viene a mancare il sostegno del sistema muscolare addominale e l’intestino, in un certo senso, si rilassa. In un soggetto vivo, quindi, le dimensioni dell’intestino sono più ridotte, arrivando a circa quattro metri.
Esistono variazioni legate alla singolarità umana, ma più o meno ci si aggira su queste lunghezze… a meno di non avere la sindrome da intestino corto, una patologia rara che può interessare l’adulto quando sia conseguenza di infarto intestinale o resezione chirurgica estesa dell’intestino, magari per curare un tumore, ma anche i più piccoli, potendo essere legata a malformazioni congenite. In via generale, per poter parlare di “intestino corto” occorre che l’intestino tenue funzionante abbia lunghezza inferiore ai 200 cm… molto inferiore ai quasi tre metri fisiologici.
Ne consegue che il soggetto va incontro a ripetuti episodi di diarrea e malassorbimento, oltre che a dilatazione dell’intestino e alterata motilità: necessita quindi di un percorso di cura continuo, atto a favorirne la nutrizione. Di norma il paziente riceve quindi nutrizione parentale domiciliare ogni giorno, attraverso vena profonda, una cura efficace ma al tempo stesso faticosa e invalidante. Quando si tratti di bambini circa il 15-20% sono destinati alla nutrizione parentale domiciliare per tutta la vita.
Altra alternativa è il trapianto di intestino che però, a differenza del trapianto di altri organi, porta con sé importanti effetti collaterali, tra cui anche la morte. In Italia al momento soffrono di questa rara patologia circa cento bambini, curati secondo la tecnica sopra accennata.
La ricerca farmacologica ha però individuato un farmaco efficace, il teduglutide, già utilizzato negli adulti, ma da poco approvato dall’AIFA anche per uso pediatrico: non può essere però somministrato prima dei quattro anni di età e il suo uso deve essere attentamente monitorato: ecco perché è stato sin qui utilizzato solo in alcuni centri pediatrici specializzati, tra cui anche l’Irccs Materno Infantile Burlo Garofolo di Trieste, un centro strategico e all’avanguardia in Italia per la cura dei casi di intestino corto sia con il nuovo farmaco, sia con la nutrizione parenterale.
Spiega la dottoressa Grazia Di Leo, dirigente medico della Gastroenterologia, nutrizione clinica, epatologia della Clinica Pediatrica dell’ospedale triestino: «finora in Italia sono stati trattati solo un paio di bambini, tutti di età maggiore del bimbo curato da noi e tutti in centri pediatrici italiani super affermati. Solo pochi centri autorizzati in Italia possono prescrivere questo farmaco e seguire l’iter clinico del piccolo paziente. Il trattamento con il teduglutide permette la crescita dell’intestino in tutte le sue parti e funzioni con possibilità di interrompere la nutrizione parenterale o di riduzione dei giorni di trattamento parenterale nei casi selezionati di sindrome dell’intestino corto in cui la nutrizione parenterale non trova alternative di trattamento. Siamo fieri di poter avviare i pazienti a una cura che rappresenta una sinergia fra cura, ricerca, innovazione medica ed esperienza clinica nel campo di patologie rare e difficili anche in età pediatrica».
La possibilità di utilizzare un trattamento farmacologico è una grande opportunità per tutti i bambini con sindrome dell’intestino corto.
Stefania Somaré