Via libera in Europa a sacituzumab govitecan. Il 22 novembre la Commissione Europea della European Medicines Agency ha autorizzato l’immissione in commercio della molecola per il trattamento in seconda linea di pazienti con carcinoma mammario triplo negativo localmente avanzato o metastatico.
Il nuovo farmaco è composto da un anticorpo umanizzato diretto contro l’antigene di superficie cellulare del trofoblasto 2 (Trop-2) e da SN-38, metabolita attivo dell’irinotecano e inibitore della topoisomerasi I.
La frazione anticorpale si lega a Trop-2 e il rilascio di SN-38 innesca l’apoptosi delle cellule malate.
Contro un sottotipo aggressivo
Un’arma in più per contrastare il tumore al seno triplo negativo, che rappresenta circa il 15% di tutti i carcinomi alla mammella e che viene diagnosticato più frequentemente nelle donne giovani e in premenopausa.
Come suggerisce il suo stesso nome, questo sottotipo è caratterizzato dall’assenza o dalla carenza di tre elementi chiave, ovvero recettore degli estrogeni, recettore del progesterone, recettore 2 per il fattore di crescita epiteliale (Human epidermal growth factor receptor 2, Her2).
Perciò non è responsivo alla terapia ormonale e ai farmaci che prendono di mira Her2 e il tasso di sopravvivenza a cinque anni è del 12%. Una percentuale molto ridotta, spesso accompagnata anche da una significativa diminuzione della qualità della vita, soprattutto nella malattia recidivante o refrattaria.
«Questo tipo di carcinoma presenta una maggiore aggressività sia biologica che clinica», conferma Giampaolo Bianchini, responsabile della Patologia oncologica della mammella all’Ospedale San Raffaele di Milano. «Inoltre, in fase metastatica, dopo la prima linea di terapia, l’unico trattamento disponibile è la chemioterapia, con risultati purtroppo insoddisfacenti per moltissime pazienti».
Uno studio su oltre 500 pazienti
L’approvazione europea del farmaco, preceduta da quella della Food and Drug Administration negli Stati Uniti il 7 aprile 2021, è giunta sulla base dello studio randomizzato di fase 3 Ascent, pubblicato su The New England Journal of Medicine e condotto tra il 2017 e il 2020 su 529 pazienti in 230 centri.
In particolare, le partecipanti alla sperimentazione sono state suddivise in due gruppi. Uno ha ricevuto sacituzumab govitecan il primo e l’ottavo giorno ogni 21 giorni tramite infusione endovenosa lenta, l’altro la chemioterapia a singolo agente (eribulina, capecitabina, gemcitabina o vinorelbina).
Ebbene, il primo gruppo ha mostrato una riduzione del 57% del rischio di peggioramento della malattia o di morte rispetto al secondo, oltre a una sopravvivenza libera da progressione di 4,8 mesi rispetto agli 1,7 osservati nel gruppo trattato con chemioterapia.
Inoltre, la molecola ha ridotto il rischio di morte del 49% e ha aumentato la sopravvivenza globale mediana a 11,8 mesi rispetto ai 6,9 ottenibili con la tradizionale chemioterapia.
Tra le reazioni avverse più comuni del nuovo medicinale sono state annoverate soprattutto neutropenia (49,5%), leucopenia (12%), diarrea (10,7%), anemia (10,1%), neutropenia febbrile (6,6%), affaticamento (5,2%), ipofosfatemia (5,2%), nausea (4,1%), vomito (3%). In alcuni casi si sono manifestati anche alopecia, costipazione, diminuzione dell’appetito, tosse, dolore addominale.
Verso l’approvazione in Italia
«L’efficacia di questa molecola, se confrontata con quella dei farmaci oggi disponibili, è straordinaria», commenta Bianchini, «visto che sono stati dimostrati un sostanziale raddoppiamento delle probabilità di sopravvivenza e un tasso di risposta sette volte superiore.
L’auspicio è perciò che questa importante opzione terapeutica venga resa disponibile, nei tempi più brevi possibili, anche per le pazienti italiane».
Paola Arosio