Ridurre i farmaci nei pazienti con comorbidità

(immagine: Pixabay)

Il farmacista ospedaliero può aiutare a ridurre i casi di poli-farmacia in pazienti anziani con più malattie?

La parola d’ordine quando si parla di anziani e cronicità è less is better: si tende, quindi, a ridurre il numero di farmaci assunti per garantire il trattamento delle patologie e, al contempo, ridurre i rischi associati alla polimedicazione.
A tal proposito, sono stati diffusi i risultati di uno studio interventistico pilota condotto su anziani con comorbidità e che assumevano almeno cinque farmaci.

A Siviglia, farmacisti e internisti collaborano per il benessere del paziente

Chiamata “LESS-CHRON”, la ricerca è stata portata avanti nell’ambulatorio diurno della Medicina Interna dell’Ospedale Universitario di Siviglia, in Spagna. 3 farmacisti ospedalieri e 5 internisti con esperienza in prescrizione hanno quindi sviluppato un protocollo multidisciplinare di intervento per rivalutare le terapie in atto.

Per ognuno dei 95 pazienti coinvolti l’intervento è iniziato con la prima visita del medico curante, per proseguire nei 6-12 mesi successivi.
Il primo passo dell’intervento viene portato avanti dal farmacista che valuta la storia clinica del paziente, individuando i farmaci che si potrebbero sospendere.
Il report così prodotto viene inviato all’internista che lo completa e lo valuta in base alla condizione attuale del paziente.

I due specialisti si incontrano, infine, per stabilire se procedere con la sospensione dei farmaci o meno come suggerito. Se si decide per il no, la scelta viene riportata come dato.

Dopo tre mesi, si ha il primo follow-up, durante il quale valutare se la deprescrizione ha portato benefici o meno, e se è necessario reintrodurre i farmaci sospesi. Questa fase è condotta dall’internista, anche sulla base di esami oggettivi.

Solo poco più di metà degli interventi del farmacista accolti dall’internista

Dei 95 pazienti di partenza, il protocollo è stato avviato solo per 43, rappresentanti il 45,3% del campione.

Le comorbidità più frequenti sono ipertensione, displipidemia, fibrillazione atriale, diabete mellito, patologia trombolitica e patologia polmonare ostruttiva cronica. All’inizio dello studio, la media di farmaci utilizzati da questi pazienti era 15. La valutazione da parte del farmacista ospedaliero ha individuato 92 farmaci potenzialmente inappropriati, in media 2.14 per paziente.

Gli internisti coinvolti hanno stabilito di sospendere 52 dei farmaci indicati, il che si traduce in un tasso di accettazione del 56.5%. Importante valutare quanti di questi farmaci sono stati reintrodotti per esigenze successive: solo 9. Il che indica un tasso di successo del protocollo del 82.7%. Il rischio terapeutico legato a interazione tra farmaci e sovraccarico del sistema del paziente è calato del 6.5%.

Perché un internista non accoglie le indicazioni del farmacista?

Interessante anche capire perché i clinici hanno accettato solo una parte delle proposte del farmacista ospedaliero. Tra le motivazioni la più importante è la convinzione che il farmaco sia necessario per lo stato clinico del paziente, ma in alcuni casi il paziente stesso o un suo famigliare si sono rifiutati di sospendere il farmaco.

Ci sono poi casi in cui lo specialista ha accolto una deprescrizione, rifiutandone una seconda sullo stesso paziente. I risultati di questo primo studio sono stati sufficienti a convincere il team a lanciarne uno più ampio, che coinvolge 30 strutture ospedaliere, per capire se il protocollo “LESS-CHRON” possa davvero supportare i clinici nel gestire l’uso di più farmaci nello stesso paziente.

(Lo studio: Marta Mejías-Trueba, PharmD and others, Feasibility of the Implementation of LESS-CHRON in Clinical Practice: A Pilot Intervention Study in Older Patients With Multimorbidity, Innovation in Aging, Volume 7, Issue 5, 2023, igad042, https://doi.org/10.1093/geroni/igad042)