Progetto ON.E, focus sul linfoma

L’innovazione degli ultimi anni ha prodotto significativi cambiamenti anche in ambito ematologico con l’introduzione di nuovi farmaci e terapie mirate che richiedono un cambio di passo attraverso l’adozione di un approccio multidisciplinare ai pazienti e la costruzione di reti in grado di consentire uno scambio continuo di informazioni ed esperienze.

Il Progetto ON.E – che punta alla realizzazione di reti oncoematologiche a livello nazionale – ha promosso lo scorso 18 marzo un Focus sul Linfoma per un confrontare le strategie aziendali e regionali per la cura e l’assistenza dei malati, i PDTA, le organizzazioni in team multiprofessionali e le reti in ematologia.

I linfomi, meglio noti come tumori del sangue, sono una patologia caratterizzata da un’alta incidenza – circa 40 nuovi casi al giorno, quasi 2 ogni ora, stando ai dati della Fondazione Italiana Linfomi – ma buone probabilità di guarigione.
Grazie al progredire della ricerca, negli ultimi anni sono stati raggiunti significativi avanzamenti prima inimmaginabili.

Ciò̀ ha prodotto conseguenze importanti sul piano terapeutico, con l’introduzione di terapie mirate che hanno influito profondamente sulla prognosi e sulle aspettative di vita dei pazienti.
La diagnostica istopatologica, molecolare e di imaging ha conseguito nuovi traguardi, determinanti per una gestione più accurata e integrata.
A questo fa riscontro, nella pratica quotidiana, un’organizzazione clinica sempre più multidisciplinare grazie al lavoro di squadra di diverse figure professionali per la cura del malato.

Il seminario dello scorso 18 marzo dedicato ai Linfomi è stato un evento satellite del Progetto ON.E, il cui obiettivo strategico è quello di sviluppare il sistema dell’ematologia e oncoematologia a livello nazionale attraverso la promozione di Reti ematologiche, confronto tra gli stakeholder, scambio di buone pratiche e progetti di innovazione organizzativa e tecnologica.

Obiettivo del seminario è stato dunque quello di fare il punto sul linfoma, sulle organizzazioni multiprofessionali, sui PDTA, e sulle strategie aziendali e regionali per la cura e assistenza dei malati e sulle Reti in ematologia.

Come l’innovazione ha cambiato la gestione del paziente con linfoma

Con l’introduzione di nuovi farmaci, dalle immunoterapie agli anticorpi monoclonali passando per le CAR-T, il paziente ha oggi prospettive diverse in termini di qualità e aspettativa di vita.
Trattamenti di questo tipo e una medicina sempre più di precisione richiedono da una parte l’introduzione di tecnologie e innovazione digitale e dall’altra il lavoro di squadra, per ottimizzare le risorse e gestire al meglio la complessità.

In ematologia, un modello di rete multi-hub è quello che, alla prova dei fatti, sembra fornire i migliori risultati.
All’interno della rete, oltre ad un team working, deve esistere la definizione di obiettivi e priorità generali e di patologia e una condivisione delle decisioni.

L’importanza di una rete regionale

Gli obiettivi della rete ematologica sono quelli di garantire livelli uniformi e quanto più alti possibili di assistenza, una caratterizzazione biologica delle nuove patologie, essenziale per i nuovi farmaci, un database regionale utile a evitare la duplicazione di diagnosi e accertamenti.
È, inoltre, utile a promuovere un uso consapevole dei nuovi farmaci, definire i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali e di verificare la sostenibilità dei modelli proposti.

Non si tratta dunque solo di garantire l’accessibilità dei trattamenti, ma anche di condividere protocolli e terapie sperimentali, favorendo l’integrazione tra ospedali e livelli di assistenza gestiti sul territorio, andando così a ridurre il fenomeno della migrazione sanitaria.
Dall’altra parte i PDTA risultano essenziali per garantire equità, accessibilità, efficienza e trasparenza.

Il linfoma di Hodgkin e anaplastico a grandi cellule sistemico: il punto, gli scenari

Il linfoma di Hodgkin interessa l’8-10% dei pazienti affetti da linfoma, con un’incidenza di 2-3 casi ogni 100mila abitanti. Le popolazioni target sono due: colpisce pazienti tra i 20 e i 30 anni e quelli tra i 50 e i 60 anni di età.

I sintomi sono sovente sfumati. La sua diagnosi è istologica. Il primo atto terapeutico è quindi la stadiazione, che consente di stabilire il tipo di trattamento da intraprendere.

«Nella situazione attuale è impossibile gestire i pazienti ematologici in assenza di una rete di patologia grazie alla quale le diverse figure professionali coinvolte (il patologo, il radioterapista, il medico nucleare, l’ematologo) si incontrano di tanto in tanto per discutere l’approccio migliore al paziente.
Oggi le novità sono di fatti il frutto della collaborazione», ha sostenuto Stefano Luminari, professore ordinario UOC Ematologia, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Il linfoma anaplastico a grandi cellule sistemico è un linfoma più raro, che rappresenta circa il 3% dei linfomi non Hodgkin. Condivide con quello di Hodgkin la proteina CD30, ma è caratterizzato da una maggiore aggressività e da una prognosi sfavorevole in assenza di diagnosi tempestiva.
I sintomi sono aspecifici e la biopsia è fondamentale per il suo riconoscimento.

Grazie all’introduzione di anticorpi monoclonali e Car-T le chance di cura del linfoma sono molto più ampie e sono cambiate radicalmente le prospettive terapeutiche, tanto che in alcuni pazienti si va incontro alla cronicizzazione della patologia.
I protocolli terapeutici oggi contemplano anticorpi monoclonali adiuvati alla chemioterapia così come il brentuximab e gli anti-CD30 nei pazienti affetti da forme più avanzate.

PILLO, una storia italiana di innovazione digitale in sanità

Una esperienza interessante di quanto l’innovazione tecnologica e digitale possa essere di supporto ai pazienti – ematologici e non soltanto – è PILLO, un piccolo robot a interazione vocale «che interagisce con i pazienti e li aiuta a stare in salute», come ha sostenuto Emanuele Baglini, Co-Founder e CEO di Ermit, l’azienda produttrice.

PILLO è infatti una storia tutta italiana: finanziato con un investimento di 13 milioni, il robot – frutto dell’unione di robotica e intelligenza artificiale – è stato sviluppato a Genova.

Il robot coadiuva il paziente nell’aderenza terapeutica, ricorda attività di natura diversa così come gli orari in cui il paziente deve assumere farmaci.

Al suo interno, inoltre, può contenere delle medicine da erogare nel corretto slot orario, informando immediatamente i caregiver, attraverso una videochiamata, nel caso i farmaci non vengano assunti.

Le reti, esempio virtuoso del Piemonte

La rete oncologica piemontese rappresenta un esempio virtuoso nello scenario italiano.
Si tratta infatti di un sistema ben rodato che contempla al suo interno tre differenti reti: una rete oncoematologica pediatrica, estremamente efficace, nata oltre 30 anni fa; una rete sui tumori solidi – molto complessa, con focus su tumori rari come è il caso dei sarcomi; una rete oncoematologica ben organizzata che poggia su un modello non del tutto hub-spoke, ma piuttosto su una diffusione capillare su tutto il territorio.
Il principio è, infatti, erogare la terapia laddove si trova il paziente, con un sistema di scelte strategiche principali condivise.

«Questo sistema», ha sottolineato Massimo Aglietta, coordinatore della Rete Oncologica Piemonte e Valle d’Aosta, «ha consentito di ridurre significativamente i fenomeni di migrazione sanitaria».

Elena D’Alessandri