Oncologia mutazionale, che cosa serve per implementarla?

Se n’è discusso nel corso della I Conferenza Nazionale Oncologia Mutazionale organizzata in Italia.
Negli ultimi anni l’oncologia, così come le altre branche della medicina, si stanno concentrando sul concetto di personalizzazione delle cure.
L’avvento della genomica ha infatti mostrato chiaramente che spesso una stessa patologia presenta profili e caratteristiche diverse in soggetti diversi: per trattarla al meglio occorre conoscerli e agire di conseguenza.
Da qui il concetto di oncologia di precisione, un concetto che inizia però a essere superato, in favore di quello di oncologia mutazionale.

L’oncologia mutazionale

Sequenziare il genoma di un paziente oncologico per individuare le mutazioni alla base dello sviluppo del suo tumore e, da qui, sviluppare farmaci a bersaglio preciso che lavorino proprio su quella mutazione e le sue conseguenze. Sembra quasi fantascienza, ma non lo è! Si tratta però di un approccio che richiede cambiamenti organizzativi, e non solo.

Per diffondere la conoscenza del modello mutazionale anche nel nostro Paese e supportarne la reale implementazione, Fondazione Ricerca e Salute (ReS) e Fondazione per la Medicina Personalizzata (Fmp) hanno organizzato la Prima Conferenza Nazionale sulla Oncologia Mutazionale italiana.

Tenutosi presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma, l’evento perseguito altri 2 obiettivi: lanciare un Academy Nazionale online con programmi di formazione e aggiornamento per gli specialisti, utili per diffonderne la cultura; presentare, nel tempo, gli studi e le ricerche cliniche in corso, per discuterle e rendere possibile l’accesso agli stessi di pazienti oncologici.

Cambiamenti strutturali: il Molecular Tumor Board

Per poter implementare il modello mutazionale, occorre che i centri esperti si dotino di un Molecular Tumor Board (MTB), ovvero un team di esperti in grado di valutare e dare l’ok all’uso di farmaci off label o ancora in fase di sviluppo, ovvero che siano stati oggetto di studi di fase II e III. In quest’ambito è infatti possibile trovare una corrispondenza tra una mutazione specifica e un farmaco già noto, magari autorizzato per l’uso in una sede differente.

Spiega Francesco Perrone, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM): «nel corso degli ultimi anni aumenta la nostra conoscenza di bersagli molecolari, aumenta la nostra disponibilità di farmaci che possono colpire questi bersagli molecolari. Quando questo si realizza nella pratica clinica si ottengono risultati efficaci e il paziente paga meno in termini di effetti collaterali, rispetto ad altri trattamenti che sono meno mirati.

Perché questo processo riguardi sempre più pazienti, dobbiamo aspettare da un lato il progresso delle conoscenze scientifiche, dall’altro far si che l’organizzazione del nostro servizio sanitario nazionale sia in grado di rendere accessibili queste terapie a un maggior numero di persone».

Perché ciò accada, occorre anche che i decisori politici vengano sensibilizzati all’importanza di alcuni cambiamenti, ma non solo.

Come sottolinea Martini, presidente della Fondazione ReS, «per sviluppare un progetto nazionale serve: il consenso delle società scientifiche, l’istituzione dei Molecular Tumor Board (MTB) e dei centri di Profilazione genomica estesa (NGS), l’accesso e il finanziamento dei test di profilazione genomica e dei farmaci oncologici, la piattaforma genomica nazionale e la creazione di un’Academy nazionale, con un corso superiore on line in Oncologia Mutazionale».

I passi da fare sono quindi ancora molti e non mancano i primi ostacoli, uno per tutti l’assenza dei test genomici nel LEA e la mancanza di fondi per finanziare i test stessi. Secondo Martini, servirebbe un fondo di circa 30 milioni di euro per gli oltre 26 mila pazienti.