Mieloma multiplo, presentati nuovi dati su daratumumab

Secondo i dati riportati dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, nel 2020 sono stati diagnosticati poco più di 5700 casi di mieloma multiplo, tumore che colpisce le plasmacellule presenti nel midollo osseo, portando alla produzione di alti quantitativi della componente monoclonale che si accumula in sangue e tessuti, determinando danni.
Più diffuso tra gli uomini che tra le donne, quasto tumore colpisce soprattutto pazienti anziani: solo nel 2% dei casi si manifesta in soggetti under 40.

In pazienti con meno di 70 anni si può procedere effettuando un trapianto di midollo osseo, ma come agire in soggetti che non possono essere trapiantati, indipendentemente dall’età? Lo studio di fase 3 MAIA sta da tempo valuntando l’azione dell’anticorpo monoclonale daratumumab contro questo tumore in soggetti con nuova diagnosi non eleggibili al trapianto di midollo appunto, avendone già dimostrato l’efficacia… tanto da portare la Commissione Europea ad approvarne l’uso in clinica. 737 i pazienti coinvolti, di età compresa tra i 45 e i 90 anni, randomizzati per ricevere in cicli di 29 giorni l’anticorpo in combinazione con lenalidomide e desametasone, o solo lenalidomide e desametasone.

Più nel dettaglio, il protocollo prevede la somministrazione di 16 mg/kg di daratumumab in infusioni endovenosa (IV) con somministrazione settimanale per i cicli 1 e 2, ogni due settimane per i cicli 3 e 6 e ogni 4 settimane dal settimo ciclo in avanti.

Gli altri due farmaci sono stati somministrati in dose di 25 mg per la lenalidomide, per 21 giorni, e di 40 mg per il desametasone, una volta alla settimana per ogni ciclo. Il trattamento è continuato fino alla progressione della malattia o alla tossicità inaccettabile.

I nuovi dati dello studio, basati su un follow-up a 5 anni, dimostrano che il trattamento in esame porta miglioramenti nella sopravvivenza complessiva, nella sopravvivenza libera da progressione (PFS), nei tassi di risposta globale (ORR) e nei tassi di malattia minima residua (MRD) negatività rispetto all’uso di lenalidomide e desametasone da soli.
Più in dettaglio, i pazienti sono stati divisi in 3 fasce d’età: inferiore ai 70 anni, tra i 70 e i 75 anni e superiore ai 75 anni.

Nel primo caso, la negatività della MRD è stata del 35,9% nel braccio di studio contro l’11,7% in quello di controllo, mentre l’ORR è stato rispettivamente del 93,6% contro l’80,5%. Tra i 70 e i 75 anni i valori calano leggermente, ma restano superiori nel gruppo di studio rispetto a quello di controllo: la MRD è del 36,2% contro il 12,2%, mentre l’ORR del 96,2% contro l’82,4%.

Inoltre, la PFS mediana è stata raggiunta a 61,9 mesi nel gruppo di studio e a 37,5 mesi in quello di controllo. Per quanto riguarda i pazienti di età superiore ai 75 anni, infine, si osserva un aumento della PFS, della MRD negatività e dell’ORR.
Inoltre, si osserva un miglioramento della qualità di vita nei soggetti fragili. Buoni i risultati sulla sicurezza del trattamento, che ha visto tassi di incidenza di eventi avversi di grado 3 o 4 simili nei due gruppo di studio in pazienti over 75.

Stefania Somaré