Meningiomi, l’immunoterapia ritarda la progressione

(immagine: Wikipedia)

Colpiscono le meningi, le membrane che circondano il cervello e il midollo spinale, interessando, a seconda della loro localizzazione, seno cavernoso, convessità cerebrale, forame magno, orbite, fossa posteriore e altre zone. I meningiomi, i tumori più comuni del sistema nervoso centrale, si verificano soprattutto tra i 30 e i 70 anni, insorgendo nelle donne con una frequenza più di due volte maggiore rispetto agli uomini.

Sebbene la maggior parte di queste neoplasie (circa l’80%) sia benigna (grado 1) e non causi sintomi, una parte (circa il 20%) è atipica (grado 2) o maligna (grado 3) e può provocare problemi neurologici e cognitivi, con percentuali di mortalità elevate.

Alto tasso di recidive

Purtroppo, nonostante i trattamenti chirurgici e radioterapici, le recidive nei meningiomi di grado 2 e 3 sono frequenti.

In particolare, si ipotizza che circa la metà dei pazienti con meningiomi di grado 2 e il 90% di quelli con meningiomi di grado 3 andranno incontro a una ricaduta entro cinque anni dalla terapia. Si stima, inoltre, che solo la metà degli assistiti con meningiomi di grado 2 e nessuno di quelli con malattia di grado 3 sopravvivano per dieci anni.

Alla ricerca di nuove terapie

In questo scenario, la priorità dei ricercatori è trovare nuove terapie sicure ed efficaci per offrire ai pazienti con patologia avanzata la speranza di una maggiore sopravvivenza.

A lavorare in tale direzione gli oncologi del Massachusetts General Hospital di Boston, negli Stati Uniti, guidati da Priscilla Kaliopi Brastianos, direttore del Programma metastasi del sistema nervoso centrale, che hanno dimostrato che pembrolizumab, un farmaco antitumorale appartenente alla classe degli inibitori del checkpoint immunitario, è in grado di rallentare la progressione della malattia.

Pembrolizumab blocca Pd-1

Gli scienziati sono partiti dalla constatazione che, come suggeriscono anche recenti studi, il microambiente tumorale può sopprimere le risposte immunitarie nei confronti dei meningiomi.

In particolare, si sono concentrati su Pd-1 (Pd sta per programmed death, cioè morte programmata), una proteina presente sulla superficie dei linfociti T e B che disattiva proprio queste cellule-chiave del sistema di difesa, allo scopo di proteggere l’organismo dall’autoimmunità.

Il problema è che, così facendo, viene meno anche la reazione contro i meningiomi. Uno strumento per ripristinarla può essere proprio pembrolizumab, che blocca Pd-1, consentendo al sistema immunitario di svolgere le proprie funzioni, identificando e distruggendo il tumore.

Uno studio su 25 pazienti

Per dimostrare questa ipotesi, Brastianos e colleghi hanno condotto uno studio di fase 2, a braccio singolo e in aperto, pubblicato su Nature Communications e realizzato su 25 pazienti con meningiomi ricorrenti e progressivi di grado 2 e 3, pesantemente pretrattati, di cui sette con malattia metastatica. Il medicinale è stato somministrato per via endovenosa alla dose di 200 milligrammi ogni tre settimane.

La sperimentazione ha evidenziato che quasi la metà degli assistiti era in vita e senza progressione di malattia dopo sei mesi, raggiungendo così l’obiettivo principale della ricerca. La sopravvivenza senza progressione mediana è stata, inoltre, di 7,6 mesi, un risultato favorevole se confrontato con gli esiti di ricerche recenti per meningiomi di grado 2-3, che hanno riportato una sopravvivenza mediana compresa tra uno e 6,5 mesi.

«Il nostro studio mostra che pembrolizumab ha un’attività promettente contro i meningiomi, sui quali sono stati condotte finora pochissime ricerche», conclude Brastianos. «L’auspicio è che le sperimentazioni possano continuare, coinvolgendo un gruppo più ampio di pazienti».

Paola Arosio