Con un’incidenza di 3-4 casi ogni 100.000 abitanti per anno, in Italia sono circa 1500 i glioblastomi diagnosticati ogni anno. Questo è il più frequente e aggressivo tra i tumori maligni del cervello, associato a una sopravvivenza media di 15 mesi e a una percentuale di sopravvivenza a 5 anni del 5%. La terapia standard prevede la resezione della massa tumorale, seguita da chemioterapia e radioterapia.
Per aumentare il successo terapeutico contro questo tumore, l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano sta avviando un progetto che mira a utilizzare linfociti per trovare le cellule tumorali e ucciderle. Il progetto è finanziato da Fondazione Celeghin con 233mila euro.
La strategia utilizzata per il progetto prevede 2 fasi, spiegate dalla dottoressa Serena Pellegatta, neuroncologa dell’Istituto milanese.
Fase 1: “produzione” di linfociti specifici contro il tumore
Nella prima fase del progetto, i ricercatori andranno a individuare i linfociti già venuti a contatto con la massa tumorale per isolarli, espanderli e infonderli nuovamente nel paziente.
Una volta nel corpo, «i linfociti potranno riconoscere le cellule tumorali e cercare di eliminarle. Questi linfociti, tuttavia, si troverebbero immersi in un contesto molto soppressivo, il cosiddetto microambiente tumorale costituito da cellule immunitarie, per lo più macrofagi, che collaborano avvantaggiando la progressione tumorale. Per cercare di modulare questo microambiente e rendendolo più favorevole per i linfociti antitumorali proponiamo di applicare la terapia sonodinamica con ultrasuoni focalizzati (FUS), una tecnologia terapeutica non invasiva alternativa alla neurochirurgia, sfruttandone i meccanismi immunomodulatori».
Sinora le terapie con linfociti CAR, ovvero modificati per portare specifici recettori, è risultata efficace solo nei confronti dei tumori del sangue. Il successo nei tumori solidi è molto scarso. Anche presso L’Istituto Carlo Besta si lavora da anni «su modelli preclinici con molecole CAR in grado di riconoscere B7-H3, uno specifico antigene molto espresso dai glioblastomi», utilizzando soprattutto vettori virali.
Fase 2: realizzare linfociti CAR con elettroporazione
Spiega la professoressa Pellegatta: «grazie al sostegno di Fondazione Celeghin vogliamo modificare i linfociti tramite metodi alternativi, uno dei quali è l’elettroporazione della molecola CAR in forma di mRNA. La dimostrazione dell’efficacia di questi linfociti CAR generati con molecole non virali potrà accelerare il trasferimento in clinica.
Un altro ostacolo che vogliamo superare è quello della somministrazione dei linfociti CAR, che se previsto per via sistemica potrebbero essere ostacolati dalla barriera ematoencefalica. Perciò fino a ora si è sempre prevista una somministrazione intracranica.
Con questo progetto, in collaborazione con il laboratorio preclinico di FUS, ANTY-Lab del dottor Francesco Prada, vogliamo sfruttare la terapia sonodinamica in combinazione con microbolle per aprire transitoriamente la barriera ematoencefalica e far arrivare i linfociti CAR al sito del tumore, in maniera non invasiva per il paziente».