Disparità di accesso alle cure sperimentali

Il codice postale spesso incide sulla decisione del clinico rispetto a inserire o meno il paziente in un trial sperimentale, in particolare quando il costo di spostamento sia troppo elevato e non ci siano mezzi pubblici.

Quando un paziente oncologico non risponde a nessuna delle cure approvate, si valuta di inserirlo in una sperimentazione clinica, ma non sempre questo è possibile. Ci sono aspetti organizzativi e geografici da tenere in considerazione: questo è quanto emerso dall’indagine di Elma Research, “Il tuo codice postale conta!”, condotta su 200 oncologi e 216 pazienti, affetti o da tumore alla mammella (46%) o da tumore al polmone (54%).

Spiega Luca Mazzarella, direttore del Laboratorio di Oncologia Traslazionale dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, in particolare parte del Dipartimento di Oncologia Sperimentale: «per alcuni pazienti gli studi clinici rappresentano l’unica opzione terapeutica e di possibilità di un miglioramento delle condizioni di salute e della qualità di vita.

Di fronte a un quadro diagnostico idoneo per un determinato trial clinico, però, l’oncologo deve considerare anche una serie di elementi per un eventuale arruolamento, come l’onere di raggiungere il centro, il supporto di un caregiver per i più fragili, la gestione della famiglia e altri aspetti della vita della persona che possono essere determinanti per sostenere e non interrompere la sperimentazione, mantenendo al tempo stesso una buona qualità di vita».

La necessità di valutare anche questi aspetti fa sì che alcuni pazienti vengano inviati direttamente alle cure palliative. Un’indagine di Elma Research ha evidenziato che esiste una relazione tra ciò e il codice postale dell’abitazione del paziente stesso.

La possibilità di accedere a trial clinici dipende anche dal codice postale

Dall’indagine emerge anzitutto che circa il 20% dei pazienti coinvolti, benché idonei, non sono stati incluso in una sperimentazione. Nel 65% dei casi “per ragioni di costo degli spostamenti (32%) e per mancanza di mezzi pubblici per raggiungere il centro esperto (27%). Il codice di avviamento postale, quindi, pesa sulla scelta dell’oncologo clinico: lo dimostra il fatto che il tasso di non arruolamento in trial clinici passa dal 16% nelle aree ad alta accessibilità al 23% in quelle a bassa accessibilità.

Com’è la situazione dal punto di vista del paziente? Per capirlo, sono stati messi i pazienti davanti a due possibilità: frequenza di spostamento settimanale o ogni tre settimane, in entrambi i casi chiedendo se si sarebbero spostati o meno. È emerso con chiarezza che la presenza di un trasporto comodo facilita lo spostamento: i pazienti che vivono in zone agiate per i trasporti, infatti, hanno rifiutato di muoversi “solo” nel 18% dei casi per frequenza settimanale, e nel 12% per la frequenza ogni 3 settimane, in caso di assenza di un trasporto comodo, le percentuali sono diventate rispettivamente il 31% e il 21%.

Analizzando i dati della survey, Gabriele Grea, Academic Fellow Department of Social and Political Sciences presso Università Bocconi di Milano, sottolinea: «dai dati che emergono da questa indagine, risulta chiaro che per migliorare l’accessibilità agli studi dobbiamo concentrarci sui concetti di “impatto dello spostamento” e “disponibilità di trasporto agevole”, lavorando sulla qualità dei servizi e la loro rispondenza rispetto ai bisogni degli utenti, che in quanto fragili hanno necessità specifiche.

Da un lato potrebbe essere utile valutare la possibilità di attivare servizi flessibili e on demand guardando all’esperienza nell’ambito dei cosiddetti servizi NEMT, ovvero di trasporto sanitario programmato non urgente, dall’altro riflettere su possibili ottimizzazioni della distribuzione di trial sul territorio, dove possibile allineandoli alla localizzazione della domanda».

Una riorganizzazione dei servizi necessaria per andare incontro a questi pazienti, soprattutto alla luce del fatto che i 2 tumori presi in considerazione sono responsabili di ¼ delle morti per cancro in Italia.

Non solo organizzazione

Dall’indagine emergono altri fattori che portano alla scelta delle cure palliative piuttosto che di un trial clinico: la distanza dagli affetti (24%) e gli impegni famigliari e professionali (17%). Fattori che incidono sulla qualità di vita e che occorre sempre tenere in considerazione.

Conclude Massimo Massagrande, CEO di Elma: «con questa indagine, indipendente e autofinanziata, abbiamo voluto raccogliere il punto di vista degli specialisti e dei loro pazienti per arricchire la conoscenza del tema e cercare delle soluzioni per garantire un più equo accesso alle possibili opzioni terapeutiche per tutti».

Conoscere una situazione è infatti il primo passo per poterla migliorare. D’altronde, trial clinici a parte, tra i pazienti oncologici molti sono costretti a muoversi anche per le cure già approvate, così da poter raggiungere centri esperti noti per la competenza, la professionalità e i risultati raggiunti. Per alcuni, poi, non è nemmeno questione di scelta del centro oncologico cui affidarsi, ma di spostarsi per chilometri solo per raggiungere il più vicino.