Abemaciclib è un inibitore delle chinasi ciclina-dipendenti (CDK) 4/6 utilizzato nella terapia del tumore mammario, in particolare per le donne con carcinoma localmente avanzato o metastatico, positivo ai recettori ormonali (HR+) e negativo al recettore del fattore umano di crescita epidermico di tipo 2 (Her2-).
Secondo l’approvazione di AIFA, avvenuta nel 2019 in associazione alla rimborsabilità, questo farmaco va utilizzato in associazione a inibitore dell’aromatasi o fulvestrant, come terapia endocrina iniziale, o in donne che hanno ricevuto una precedente terapia endocrina (TE).
Di recente, la stessa AIFA ha approvato la rimborsabilità per l’uso di abemaciclib anche in pazienti con tumore in fase iniziale, HR+ e HER2-, linfonodo positivo e ad alto rischio di recidiva, in associazione alla terapia endocrina.
La decisione arriva in seguito ai risultati a 4 anni dello studio di fase 3 monarchE, che mostrano un miglioramento statisticamente significativo nella sopravvivenza libera da malattia invasiva nelle donne trattate con abemaciclib, rispetto a quelle seguite con il percorso standard. 5.637 le pazienti arruolate, tutte con EBC HR+/HER2- linfonodo-positivo ad alto rischio di recidiva, provenienti da 600 centri esperti in 38 Paesi.
Più nel dettaglio, le pazienti trattate con TE e abemaciclib mostrano una sopravvivenza libera da malattia invasiva del 85,5%, superiore di 6,9 punti percentuale rispetto alle pazienti trattate con sola TE.
Anche le percentuali di sopravvivenza libera di malattia a distanza di 4 anni sono più alte nelle pazienti del gruppo di studio, rispetto a quelle del gruppo di controllo, pari rispettivamente a 87,9% e 81,8%. Inoltre, la terapia associata sembrerebbe ridurre il rischio di recidiva del 35%, percentuale aumentata rispetto a quella a 2 anni di trattamento, pari al 32%.
Valentina Guarneri, professore ordinario di Oncologia Medica e direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica dell’Università di Padova, spiega: «il trattamento con abemaciclib in combinazione con TE ha dimostrato di ridurre in maniera importante il rischio di recidiva nelle pazienti con tumore al seno in stadio iniziale ma con un elevato rischio di ripresa di malattia.
Ai vari aggiornamenti del follow-up del trial monarchE si è osservato non soltanto il mantenimento della riduzione del rischio di recidiva che avevamo già visto nell’analisi primaria, ma nel tempo si è osservata una tendenza addirittura a migliorare questo effetto.
Il fatto che ci sia un effetto di riduzione sul rischio di metastasi a distanza è un aspetto assolutamente rilevante, perché sappiamo che l’evento metastasi a distanza è quello che maggiormente condiziona la prognosi di queste pazienti; quindi, quello che ci aspettiamo è che questo trattamento riesca ad aumentare la proporzione di pazienti guarite».
Prosegue Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia: «sappiamo che una donna colpita da un tumore al seno, specie se in fase iniziale ma ad alto rischio di sviluppare recidive, vive sentimenti di incertezza, ansia, paura per il futuro perché non sa se e quando la malattia si ripresenterà di nuovo.
Sapere di poter contare su nuove terapie, nel setting adiuvante, che riducono la probabilità che la patologia oncologica si ripresenti con una recidiva o con metastasi pone la paziente in una condizione di maggiore serenità d’animo, aderenza alle cure e speranza di guarigione, che sappiamo essere il driver principale nell’affrontare il percorso terapeutico.
Purtroppo, infatti, i dati ci dicono che il tumore al seno viene diagnosticato a donne in età sempre più precoce e che il trend del tumore al seno è in crescita. Per questo accogliamo con grande felicità ogni avanzamento della ricerca e auspichiamo che prosegua su questa strada per mettere a disposizione degli oncologi e delle pazienti cure sempre migliori in grado di fermare il tumore e allungare la sopravvivenza, migliorando la qualità di vita».
Lo studio monarchE prevede l’uso della terapia combinata per due anni dall’intervento chirurgico: i nuovi dati sono quindi di follw-up.