Biosimilari: più salute, più cura

Un valore sottostimato, almeno in alcune Regioni e tra queste, anche la Lombardia. I farmaci biosimilari rappresentano, invece, una grande opportunità per la sostenibilità dei sistemi sanitari a livello mondiale, non solo nazionale. Il loro impiego permette di garantire più salute, ovvero trattamenti efficaci, sicuri, consolidati da robusti studi di dati real word, a una più ampia platea di pazienti a parità (finanche minori) risorse.

Il risparmio derivante dall’utilizzo dei biosimilari può essere così riallocato e investito in innovazione terapeutica, resa oggi disponibile in quasi tutte le patologie dalla ricerca, e in migliore accessibilità per il paziente. Se ne è parlato in occasione del Workshop “Biosimilari, una soluzione concerta a garanzia dell’equità e dell’accesso sostenibile alle cure”, organizzato da Motore Sanità.

La posizione di AIFA

È netta la posizione espressa dall’Agenzia Italiana del Farmaco riguardo i biosimilari. Nel secondo position paper l’Agenzia chiarisce che, fatto salvo i vantaggi offerti dai biosimilari, la scelta di utilizzo rimane affidata al medico, concordata con il paziente, anche nel caso in cui si possa presentare l’evenienza di uno switch non più tra biosimilare e originator, come avveniva spesso in passato, ma tra biosimilare e altro biosimilare.

Ovvero, il secondo position paper ha allargato le possibilità di switch o di intercambiabilità clinica dai pazienti naïve a trattamento a pazienti in trattamento, senza tuttavia che sia eseguibile una sostituibilità automatica o una sostituzione da parte di un altro professionista, per esempio il farmacista, affidando – come detto – la scelta terapeutica al clinico/medico di riferimento. Pertanto è fondamentale promuovere un dialogo costruttivo tra medico e paziente sulle scelte terapeutiche disponibili, a favore della formazione di pazienti consapevoli e partecipi al proprio percorso di cura.

Dunque, come gestire in modo appropriato e razionale le opportunità offerte dai biosimilari alla scadenza brevettuale, tanto più che sebbene sotto l’egida di AIFA, la governance dei biosimilari è autonoma e dipendente dalle singole regioni? La soluzione, immediata, orienta ad approfittare dell’uscita dei biosimilari e degli effetti competitivi sui prezzi per risparmiare semplicemente risorse, mentre occorre spostare il focus su un diverso obiettivo: riallocare le risorse liberate, reinvestendo il risparmio nel modo più efficiente e efficace possibile. Riguardo ai biosimilari a che punto siamo?

L’ultimo rapporto OsMed (Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali) attesta che l’Italia è in buona posizione rispetto alla quota dei biosimilari sul totale delle molecole soggette alla competizione biosimilare, quindi a brevetto scaduto, differentemente dai generici, probabilmente favorita dal fatto che il biosimilare non applica un prezzo di riferimento, come accade per il generico, rappresentando una effettiva liberazione di risorse per il SSN.

La penetrazione dei biosimilari va valutata, dunque, in relazione ad almeno un paio di elementi: la molecola in quanto tale, la classe terapeutica e le forme di innovazione incrementale che agiscono sulle stesse molecole, determinata con studi specifici. Il lancio di un biosimilare, infatti, può avvenire solo a scadenza brevettuale e in presenza anche di scadenza sull’esclusività dei dati, tale per cui sia possibile accedere ai dati stessi ed avviare esercizi di comparabilità.

In proposito la normativa europea è in fase di riforma: è già stata approvata dalla Commissione Europea la proposta, che molto probabilmente sarà tradotta dal Parlamento dopo le lezioni europee, di allungare ulteriormente la data esclusivity rispetto all’iniziale intenzione di ridurla da 8 a 6 anni. Per il biosimilare è infatti necessario avviare studi di confronto di tipo clinico con il farmaco brand, limitatamente ad alcune delle indicazioni coperte dal prodotto di marca, diversamente dal generico, in cui è sufficiente uno studio di bioequivalenza.

I territori

Regioni e aziende sanitarie possono avviare diversi comportamenti rispetto all’opportunità che un biosimilare offre a scadenza brevettuale. Fondamentale è la decisione a priori, sul riutilizzo delle risorse liberate e dagli effetti competitivi generati dalla disponibilità degli stessi biosimilari. Le risorse, ad esempio, potrebbero essere impiegate per allargare il parterre di pazieti target nella misura in cui l’alto costo di farmaci biologici o la difficoltà dei percorsi terapeutici possano limitare l’accesso a una quota parte di pazienti eleggibili a trattamento.

O, nel caso in cui i biologici abbiano coperto il target di pazienti di riferimenti, le risorse potrebbero essere investire per finanziare l’ingresso di nuovi farmaci che non hanno il livello di valore terapeutico aggiunto per garantire innovatività e/o l’accesso a fondi innovativi, ma che rappresentano un valore per il SSN. Ancora, se questi aspetti sono ottemperati, è possibile allocare le risorse nella riorganizzazione dei percorsi, per esempio allargando le possibilità prescrittive. Infine, qualora non fosse necessario riallocare le risorse, è possibile introdurre il biosimilare per favorire un risparmio legato all’utilizzo del farmaco stesso.

Per arrivare a questi obiettivi è necessario fare horizon scanning preventivo, utile a conoscere in anticipo le scadenze brevettuali e le dimensioni del risparmio attese, i problemi di acceso più urgenti e in relazione a questi aspetti definire delle policy verificandone successivamente i risultati in temine di soddisfacimento degli outcome attesi.

Accesso ancora limitato

Uno studio sviluppato dall’Università del Piemonte Orientale in collaborazione con Regione Campania che ha preso avvio dall’analisi di dati amministrativi, riferiti cioè alle prestazioni eseguite non al numero di diagnosi, ha messo in luce un gap fra pazienti, nello specifico affetti da artrite reumatoide, candidabili a terapie con biologici e il mancato trattamento.

È emerso che la popolazione prevalente con patologia, calcolata nello 0.6% (certamente sottostimata) accede ai biosimilari solo per il 22% sul complemento (78%) candidabile. Ovvero hanno indicazione terapeutica ai biosimilari, pazienti in seconda linea di trattamento a fallimento della prima; con patologia severa attiva e progressiva che ne autorizza l’accesso a terapia in prima linea e coloro che hanno controindicazione rispetto all’uso di methotrexate.

In buona sostanza circa il 15% dei pazienti eleggibili a una terapia con biologici non riceve il trattamento prevalentemente per difficoltà nel percorso di accesso. Tra le opportunità valutate per risolvere il gap: allargare le modalità prescrittive sul territorio anche a medici non ospedalieri, limitatamente a terapie non di ultima generazione ma esposte a biosimilari.

Il caso Regione Lombardia

Rispetto ad altre Regioni, quali Emilia-Romagna e Veneto, la Lombardia è al di sotto delle medie nazionali nell’uso dei biosimilari di circa il 63%, ponendola a livello di Regioni del Sud Italia. Un dato inatteso per una regione che ha inventato il File F, strumento per la gestione dei farmaci ad alta complessità, comunque di farmaci specifici e innovativi; per una regione benchmark per situazioni di carattere non solo clinico e che ha messo a punto la duplice riforma per la gestione del rapporto tra territorio e ospedali, e che invece in tema di utilizzo dei biosimilari si trova un passo indietro.

Serve, in Lombardia, investire maggiormente sul territorio, con particolare attenzione ai Distretti utilizzandoli come mezzo e strumento di governance del territorio stesso, dal momento che a oggi cure primarie fino al medico ospedaliero fanno capo ad ASST e ATS. Inoltre, sarebbe importante sfruttare l’attuale disposizione di legge che consente di programmare Piani Territoriali su base triennale per includere nei piani terapeutici anche i biosimilari. In generale, nelle diverse regioni si osserva un allargamento delle popolazioni trattate con i biosimilari, colto come opportunità di risorsa per il bilancio regionale e per favorire l’accesso rapido del paziente all’innovazione.

I biosimilari in ambito oncologico

Fra le aree di applicazione, l’ambito oncologico è quello in cui si registra la più alta adesione al biosimilare, oltre il 90%, favorita dall’utilizzo in contesti prevalentemente ospedalieri. La liberazione di risorse, grazie all’utilizzo di questa categoria di farmaci, ha permesso ad esempio di promuovere l’accesso a cure innovative, tra queste l’immunoterapia. Il clinico, dunque, è incentivato all’utilizzo in quanto opportunità per ampliare le opzioni terapeutiche, così come ad avviare sperimentazioni per la successiva applicazione in clinica. Il dato Lombardo sull’utilizzo dei biosimilari, dunque, non è fedele per quanto attiene all’ambito ospedaliero, dove i biosimilari sono regolamentati da gare regionali in cui vince la soluzione più economica (in caso la scelta ricada su opportunità più costose, occorre darne adeguata motivazione).

Inoltre, gli ospedali, secondo quanto previsto da ATS e Direzioni Generali, sono periodicamente controllati circa l’utilizzo di queste molecole. Vi è evidenza che quanto più queste sono specialistiche e a uso ospedaliero maggiore è l’aderenza, più sono lasciate a scelte specifiche, come nel caso di molecole a utilizzo misto ospedale-territorio, il dato di impiego cala.

Ciò potrebbe essere riferito anche a gare non univoche che creano competitività di accesso e di comportamento fra ospedale e territorio: da qui l’indicazione possibile a uniformare, rendere uniche le diverse gare. Non ultimo una motivazione del gap di utilizzo potrebbe essere riconducibili anche a aspetti produttivi: in alcuni casi le aziende non sono grado di ottemperare agli obiettivi di gara a causa delle vaste dimensioni territoriali, per esempio lombardo, o per numero di popolazione eleggibile elevata.