Beta-talassemia in Italia, stato dell’arte e prospettive

Il nostro Paese è fra quelli con la più alta incidenza di pazienti talassemici nel mondo. Si stimano infatti settemila persone affette da beta-talassemia, di cui la maggior parte residente in alcune Regioni del Sud come Sardegna, Sicilia e Puglia e del Nord, come Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.

Le sindromi beta-talassemiche sono un gruppo di malattie ereditarie del sangue caratterizzate da una ridotta produzione o assenza delle catene della beta-globina, elemento costitutivo dell’emoglobina, proteina responsabile del trasporto di ossigeno attraverso l’organismo. Le forme di beta-talassemia sono 3: beta-talassemia minor, intermedia e major.
Il 73% dei pazienti italiani è affetto dalla forma major, quella più grave, trasfusione-dipendente, che si manifesta per lo più entro i primi due anni di vita.

Il tema è stato al centro di un incontro promosso da Vertex Pharmaceuticals, ospitato lo scorso 6 giugno presso la Camera dei deputati dal titolo “Beta-talassemia in Italia: i successi del presente e le sfide del futuro”, cui hanno preso parte rappresentati delle Istituzioni, del mondo scientifico e delle Associazioni di pazienti, con l’obiettivo di fare il punto sui numeri italiani della patologia, sui centri di cura e sul futuro della presa in carico del paziente talassemico.

La presa in carico: centri d’eccellenza ma scarsità di risorse e personale

I centri di cura italiani rappresentano un’eccellenza cui fa tuttavia sovente da contraltare una scarsità di personale e una penuria di risorse tale da mettere a rischio la qualità dell’assistenza. Il 18% dei centri dispone di un solo medico e centri più grandi sono chiamati a gestire il 70% dei pazienti.
A ciò si aggiunge che ogni centro di medie-grandi dimensioni deve farsi carico di circa 10 volte il numero di pazienti dei centri medio-piccoli (115 vs 12,6 pazienti), a fronte di un solo medico in più in organico (4 vs 3 medici).
È questa la fotografia scattata dalla ricerca realizzata da IQVIA, presentata nel corso dell’incontro.

La fragilità dei pazienti talassemici

I pazienti talassemici con beta-talassemia trasfusione dipendente necessitano, in media di 1-3 o più sacche di sangue al mese e di terapia ferrochelante per smaltire l’eccesso di ferro conseguente alle trasfusioni; gli stessi sono pazienti estremamente fragili: basti pensare che l’85% presenta, oltre alla beta-talassemia anche altre patologie dovute a complicanze della malattia o correlate alla terapia.

Si tratta, quindi, di pazienti la cui gestione risulta estremamente complessa e che necessitano di centri di riferimento in grado di gestire tanto la patologia quanto altre problematiche, come quelle legate alla fertilità, a problemi cardiovascolari e finanche oncologici.
La guarigione può essere assicurata soltanto dal trapianto di midollo osseo che presenta tuttavia diversi rischi ed è disponibile solo per un ristretto numero di pazienti in assenza di donatori compatibili.

La Rete Nazionale Talassemie

«Benché in presenza di queste difficoltà organizzative, lo standard di cura in Italia è fra i migliori al mondo. I pazienti sono trattati con puntualità e le strutture sono di buon livello. Inoltre, con l’istituzione della Rete Nazionale Talassemie da poco approvata da parte della Conferenza Stato Regioni, crediamo che la gestione dei pazienti migliorerà ulteriormente con minori differenze tra Regione e Regione», ha commentato Raffaella Origa, Presidente della SITE – Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie.

Nonostante l’impegno, i tassi di mortalità dei pazienti talassemici dipendenti da trasfusione restano ancora troppo elevati. Le complicanze più frequenti cui vanno incontro sono: endocrine (19,2%), epatiche (14,5%), tumori maligni (13,1%), complicanze cardiopolmonari (12,1%) e muscoloscheletriche (10,3%).Dati che evidenziano con chiarezza la necessità di ulteriori miglioramenti nella gestione.

«I progressi fatti nel trattamento della patologia sono da celebrare è però nostro dovere cercare di migliorare ancora la qualità della vita di questi pazienti», ha sottolineato Gianluca Forni, direttore del Centro Microcitemia e Anemie Congenite dell’Ospedale Galliera di Genova.

Qualità di vita dei pazienti e carenza di sangue

Una testimonianza delle sfide che quotidianamente affrontano i pazienti talassemici è arrivata da Valentino Orlandi, presidente di UNITED Onlus – Federazione Italiana delle Thalassemie, Emoglobinopatie Rare e Drepanocitosi, che ha dichiarato: «i pazienti affrontano ogni giorno la sfida della malattia. Essere talassemico non vuol dire solo doversi trasfondere ogni 3-4 settimane, ma adattare le proprie attività lavorative e sociali ai livelli di energia, con un evidente impatto sulla qualità della vita».

Tommasina Iorno, delegata della Fondazione Italiana Leonardo Giambrone per la Guarigione della Talassemia e della Drepanocitosi, ha aggiunto: «la carenza di sangue è un tema di strettissima attualità su cui dobbiamo mantenere alta l’attenzione. Alcune Regioni sono sotto la soglia dell’autosufficienza e la carenza di sangue è cronica.

Interventi per promuovere la donazione e per aumentare le risorse umane per il funzionamento del sistema sangue sono fondamentali e non più procrastinabili. La qualità di vita dei pazienti è messa a dura prova dalla disponibilità o meno della terapia trasfusionale salvavita. Tale carenza influisce negativamente su tutto il PDTA del paziente».