Tumore al fegato, uno studio su 5-azacitidina

Il carcinoma epatico è un tumore altamente vascolarizzato, ancora oggi caratterizzato da limitate possibilità di cura in fase avanzata e da una mortalità a cinque anni molto elevata. Perciò gli studiosi di tutto il mondo sono alla ricerca di nuove strategie terapeutiche che possano offrire più speranze ai pazienti.

Una ricerca internazionale

Uno studio pubblicato su Cancers e coordinato dall’Università di Trieste, in collaborazione con gruppi nazionali (Università Federico II di Napoli, Università di Pavia, Centro di riferimento oncologico di Aviano, Università di Padova) e internazionali (Istituto di oncologia di Lubiana, in Slovenia; Centro di ricerca clinica internazionale dell’ospedale universitario Sant’Anna di Brno, in Repubblica Ceca; Università della scienza, città di Ho Chi Minh, in Vietnam; Università di Toronto, in Canada), si è concentrato sulla 5-azacitidina, un farmaco demetilante, cioè in grado di ridurre la metilazione del Dna, un processo che in molte cellule tumorali si svolge in modo anomalo, contribuendo all’espansione della neoplasia stessa.

Una ricerca mirata a trovare nuovi impieghi per la molecola, visto che finora quest’ultima è stata impiegata per altre indicazioni. In particolare, negli Stati Uniti, dal 2004, è autorizzata per il trattamento delle sindromi mielodisplasiche, malattie del sangue che possono evolvere fino a determinare l’insorgenza di leucemia mieloide acuta.

Il medicinale è in uso anche in Europa e in Italia per la terapia delle medesime sindromi e di alcune forme di leucemia mieloide acuta.

Risultati promettenti

La sperimentazione ha evidenziato, in vari modelli cellulari e animali, che la 5-azacitidina è in grado di riattivare miR-139-5p, un microRna con funzioni regolatorie che inibisce la via biochimica pro-proliferativa che coinvolge Rock2/ciclinaD1/E2F1/ciclinaB1 e quella pro-migratoria di Rock2/Mmp-2, due sistemi di trasduzione dei segnali all’interno delle cellule che ne supportano rispettivamente la moltiplicazione incontrollata e la capacità di spostarsi, sia all’interno del fegato, sia in altri organi, dando origine a metastasi.

È stato, inoltre, rilevato che il principio attivo contrasta anche la formazione di nuovi vasi sanguigni da parte del tumore (neo-angiogenesi tumorale), finalizzata a supportare la diffusione della malattia.

Per avere un’idea più precisa del potenziale terapeutico del farmaco, i ricercatori hanno, infine, sviluppato un algoritmo matematico mirato a descriverne e a predirne l’effetto sulla crescita del carcinoma in vivo (in modelli animali e potenzialmente nell’uomo).

L’importanza della multidisciplinarietà

«Nel complesso, i nostri dati contribuiscono a porre solide basi per futuri studi sull’impiego della 5-azacitidina o di suoi derivati nel carcinoma epatico», ha sottolineato Gabriele Grassi, professore ordinario di biochimica all’Università di Trieste e coordinatore della ricerca.

«I risultati ottenuti sono il frutto dell’integrazione di competenze in vari ambiti, ovvero biochimica, medicina, farmaceutica, ingegneria, a dimostrazione del fatto che solo un alto grado di multidisciplinarietà può portare al miglioramento delle conoscenze e all’evoluzione della pratica clinica in un settore complesso e spesso ancora caratterizzato da un elevato unmet medical need come quello oncologico».

Paola Arosio