Scompenso cardiaco, il vantaggio di avere un farmacista ospedaliero in équipe

Sul sito web del Ministero della Salute si legge che «lo scompenso cardiaco rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale negli over 65, anche per questo è considerato un problema di salute pubblica di enorme rilievo. A soffrire di scompenso cardiaco in Italia sono circa 600.000 persone e si stima che la sua prevalenza raddoppi a ogni decade di età, arrivando al 10% dopo i 65 anni».

Caratterizzato da affanno, ridotta tolleranza allo sforzo, affaticamento ed edema, lo scompenso cardiaco è una di quelle patologie croniche legate, in qualche modo, alla sempre maggior capacità di intervenire sugli infarti del miocardio e sulle patologie a esso associate, come l’ipertensione. Come a dire che siamo in grado di evitare la morte di molti soggetti, ma questi poi sviluppano una condizione in cui il cuore non riesce più a svolgere al meglio il proprio lavoro.

Quando il paziente inizia a essere ricoverato significa che il suo scompenso cardiaco tra progredendo e peggiorando: il ricovero dovrebbe quindi essere un campanello d’allarme per i clinici, che dovrebbero quindi valutare il paziente sotto molti punti di vista per stabilire un percorso terapeutico che ne migliori la condizione di salute. La fase del post-dimissione è particolarmente importante. È qui che il farmacista ospedaliero può incidere.

Un recente studio statunitense ha presentato l’impatto sui pazienti con scompenso cardiaco di un modello di cura integrato dalla presenza del farmacista clinico all’interno di una clinica specializzata in scompenso cardiaco di un grande centro di riferimento terziario: il Mission Hospital di Asheville, in North Carolina.

Gli autori si sono in particolare soffermati su alcuni aspetti: tasso di riospedalizzazione, accessi al Pronto Soccorso e morte. Lo studio ha coinvolto 1463 pazienti con frazione di eiezione del ventricolo sinistro inferiore al 40%. Di questi, 307 sono stati seguiti secondo il modello integrato e sono stati visitati entro 30 giorni dalle dimissioni da un’equipe inclusiva di farmacista clinico: durante la visita, i soggetti sono stati valutati clinicamente, hanno ricevuto educazione sanitaria dettagliata rispetto allo scompenso cardiaco e il farmacista ha eseguito una riconciliazione dei farmaci. I restanti 1156, invece, sono stati seguiti come da protocollo convenzionale.

Tutti i pazienti sono stati seguiti per 90 giorno dalle dimissioni. In questo periodo di tempo la probabilità di essere riospedalizzati, avere esigenza di recarsi in Pronto Soccorso o di morire è stata inferiore nei pazienti del gruppo studio rispetto a quelli del gruppo di controllo, anche se di soli 6 punti percentuale: 26% contro 32%, per la precisione.

In particolare, si è osservato che la riconciliazione dei farmaci incide molto sulle terapie utilizzate a casa sa questi soggetti: nel 30% sono stati aggiunti farmaci, nel 27% sono stati ridotti, nel 7,2% dei casi si è dovuto riprendere una terapia sospesa e nel 28% intervenire sui diuretici.

Come visto, questo intervento permette di migliorare le condizioni cliniche dei pazienti, stabilizzandole ed evitando peggioramenti improvvisi. Allo studio ha partecipato anche la Scuola Skaggs di Farmacia e Farmaceutica dell’Università del Colorado.

(Lo studio: Upton AJ, Tilton R, Ogedengbe O, Bankieris KR, Smith L, Trichon B, Thohan V, Kiser TH, Sleater LK. Impact of a pharmacist-inclusive post-discharge clinic on outcomes in heart failure patients with reduced ejection fraction: Rates of hospital readmission, emergency department visits, or death. J Am Coll Clin Pharm. 2021 Dec;4(12):1516-1523. doi: 10.1002/jac5.1529. Epub 2021 Sep 22. PMID: 34901761; PMCID: PMC8664242)

Stefania Somaré