L’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato la rimborsabilità di pemigatinib in monoterapia nel trattamento di adulti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico. Tumore raro a carico del dotto biliare, registra ogni anno in Italia all’incirca 2 mila nuove diagnosi.
Si tratta di un inibitore della chinasi che, in Europa, ha ricevuto indicazione nel trattamento di pazienti adulti con colangiocarcinoma in forma localmente avanzata o metastatica che presentano fusione o riarrangiamento del recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR2) e in progressione dopo almeno una linea di terapia sistemica. In Italia, il farmaco ha ricevuto la rimborsabilità nel trattamento di pazienti con questo preciso identikit.
L’autorizzazione di Aifa arriva a seguito dei risultati di efficacia condotti su pazienti sottoposti a (mono)terapia di prima e seconda linea. Nello specifico, Pemigatinib avrebbe fatto osservare un tasso di risposta obiettiva complessivo del 37% e una durata della risposta mediana di otto mesi: risultati sensibilmente migliori rispetto alle attuali terapie, cui si aggiunge un buon profilo di tollerabilità.
Il meccanismo di azione e i benefici terapeutici
Vi è evidenza che Pemigatinib sia in grado di bloccare un segnale la trasmissione a livello di una cellula tumorale, generato da una particolare alterazione molecolare che ne promuove anche la crescita. Ovvero Pemigatinib sembra inibire fino a togliere l’energia necessaria alla trasmissione di segnale: l’assenza di segnale porta la cellula all’apoptosi.
«Il vantaggio terapeutico», spiega Filippo de Braud, direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematoncologia dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, «è superiore a quello della chemioterapia».
Si osserverebbero, inoltre, benefici in termini di risposte obiettive, cioè di riduzione della malattia e di tempo della progressione anche in caso di trattamento in seconda linea, in pazienti dunque già sottoposti ad altra terapia.
«Purtroppo», aggiunge Giordano Beretta, direttore UOC di Oncologia Medica dell’Asl di Pescara e presidente della Fondazione Aiom, «a un certo punto la malattia sfugge: si ipotizza che l’impiego di questo farmaco in una linea più precoce in pazienti che presentano questa specifica mutazione (fusione o riarrangiamento del recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR2), pari a circa il 10-16% dei colangiocarcinomi intraepatici, possa favorire risultati/risposte migliori. Il beneficio non si rileverebbe invece in forme in cui questa mutazione è assente. Pertanto, Pemigatinib va considerato specifico e attivo solo in un sottogruppo di pazienti».
Francesca Morelli