Il microbioma intestinale, un ecosistema complesso composto da trilioni di batteri, protozoi, virus e funghi, è oggi considerato un vero e proprio organo, al quale viene dedicato un numero sempre maggiore di ricerche.
«Per studiare questo insieme di microrganismi ci possiamo avvalere della colturomica, un approccio che consiste nell’impiego di varie condizioni di coltura (giorni di incubazione, fattori di arricchimento, temperatura di crescita) e nella successiva analisi dei componenti, attraverso la spettrometria di massa ed eventualmente il loro sequenziamento», spiega Luca Masucci, responsabile dell’Unità Operativa di Diagnostica molecolare e manipolazione del microbiota del Policlinico Agostino Gemelli di Roma e ricercatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il protocollo del Policlinico Gemelli
Nell’ambito del primo trial clinico internazionale sul trapianto di microbiota nella sclerosi laterale amiotrofica, una grave malattia multisistemica, caratterizzata da progressiva debolezza muscolare e da disfunzione cognitiva, i ricercatori del Gemelli hanno messo a punto uno speciale protocollo di colturomica, che ha consentito, per la prima volta al mondo, di isolare nelle feci di un paziente di 69 anni il Rummeliibacillus suwonensis, un batterio Gram positivo anaerobio rintracciato nel 2013 nel suolo di una regione montuosa in Corea del Sud.
«Il microbiota intestinale potrebbe avere un ruolo nella salute dell’individuo non solo per quanto riguarda le patologie intestinali, ma anche per quelle sistemiche», commenta il prof. Masucci. «In particolare, è in grado di influenzare la tolleranza immunitaria e il numero e le funzioni dei linfociti T regolatori o T-reg, che sono tra i protagonisti della genesi della SLA. Di qui l’interesse a studiarlo in modo approfondito, con l’obiettivo di poter magari sfruttare in seguito le conoscenze acquisite, all’interno di una strategia terapeutica».
Il ruolo dei batteri
I risultati della ricerca che hanno portato all’isolamento del batterio sono stati pubblicati su Current Microbiology.
«Reperire batteri “inusuali” nel materiale fecale consente di monitorare il loro passaggio dall’ambiente all’uomo», aggiunge il ricercatore. «Ciò pone le basi per futuri studi che analizzino la relazione tra ospite e microrganismo, in un’ottica di one health e di medicina personalizzata».
Paola Arosio