I trattamenti chemioterapici portano con sé una serie di possibili effetti collaterali che devono essere monitorati e trattati: tra questi, anche la neutropenia, una tra le più frequenti complicanze della chemioterapia citotossica.

Quando la neutropenia si associa a un rialzo della temperatura corporea, si parla nello specifico di neutropenia febbrile. Una condizione che, a sua volta, aumenta il rischio di sviluppare infezioni, prolungare il ricovero, necessità di modificare la dose di chemioterapia, ridurre la sopravvivenza totale e quella libera da progressione di malattia.

Infine, si ha un aumento dei costi sanitari. Alcuni recenti studi associano l’insorgere di questa complicanza anche ad alterazioni nel microbioma intestinale: la tossicità correlata alla chemioterapia, infatti, porterebbe alla riduzione della popolazione di alcuni ceppi in favore della crescita esagerata di altri, come Akkermansia muciniphila e Bacteroides che, a loro volta, favorirebbero l’insorgenza di infezioni.

Un recente articolo europeo valuta l’uso di una profilassi con il fattore di crescita granulocitario (G-CSF). 

Il panel di esperti

In questo lavoro “Optimal use of granulocyte colony-stimulating factor prophylaxis to improve survival in cancer patients receiving treatment : An expert view“, pubblicato su Wiener klinische Wochenschrift, cinque oncologi esperti in terapia di supporto ai pazienti sottoposti a chemioterapia discutono l’evidenza di efficacia dell’uso di G-CSF nel prolungare la vita dei pazienti oncologici, individuano le ragioni per cui spesso questa profilassi non è utilizzata e suggeriscono alcune possibili soluzioni.

Gli esperti sono: Pere Gascón dell’Ospedale Clinico dell’Università di Barcellona (Spagna), Ahmad Awada dell’Istituto Jules Bordet di Brussels (Belgio), Peeter Karihtala dell’Helsinki University Hospital Comprehensive Cancer Center (Finlandia), Sylvie Lorenzen dell’Hôpital Rechts der Isar dell’Università Tecnica di Monaco (Germania) e Christoph Minichsdorfer dell’Università Medica di Vienna (Austria). 

Evidenze dalla Letteratura

Nella prima parte del lavoro, gli autori portano una serie di studi a dimostrazione del ruolo della terapia con G-CSF nel favorire la sopravvivenza di pazienti sottoposti a chemioterapia citotossica. Secondo le linee guida la profilassi dovrebbe essere prescritta in presenza di una o più delle seguenti caratteristiche del paziente: età superiore ai 65 anni; presenza di fragilità, anche per comorbidità; stato funzionale del paziente; stato nutrizionale e livelli di albumina; coinvolgimento del midollo spinale; presenza di disfunzioni epatiche e renali; presenza di comorbidità come patologia cardiaca o broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Tuttavia, nella loro analisi della letteratura, gli esperti sottolineano che spesso la profilassi non viene eseguita trovando una correlazione, per esempio, con la specialità oncologica: sembra che gli oncoematologi e gli esperti in tumori ginecologici aderiscano meglio e più spesso alle linee guida, mentre i pneumologi lo fanno meno.

Inoltre, anche il livelli di esperienza professionale è importante: di solito l’aderenza migliora dopo i 2 anni. Tutto ciò suggerisce che le principali barriere siano di carattere culturale e che, quindi, per abbatterle sia necessario formare non solo gli oncologi, ma anche i giovani dottori e i farmacisti ospedalieri all’importanza di seguire le linee guida, così da proteggere il paziente dalla tossicità della chemioterapia e poter continuare a utilizzare le dosi ottimali di farmaco.

Importante anche facilitare l’aggiornamento dei protocolli interni ai singoli ospedali e gli strumenti per la prescrizione elettronica. Vediamo, ora, in breve, quali pazienti possono godere al massimo da questa profilassi.

G-CSF: quali pazienti e quali tumori

Come ogni profilassi e terapia, anche quella con G-CSF non può essere prescritta indiscriminatamente a tutti i pazienti con tumore, ma occorre valutare attentamente caso per caso. Nel loro lavoro, gli esperti riassumono alcuni degli aspetti da tenere in considerazione. Per esempio, l’oncologo e il farmacista devono porre particolare attenzione ai pazienti over 65, valutando le caratteristiche già descritte, perché più a rischio di sviluppare neutropenia febbrile.

Per quanto riguarda le forme tumorali, la profilassi con G-CSF sembra essere utile in tutti i pazienti con tumore alla mammella in terapia con neoadiuvanti o chemioterapia adiuvante, mentre in presenza di un tumore metastatico occorre valutare attentamente gli altri fattori di rischio.

Anche i pazienti con cancro gastrointestinale rispondono spesso bene alla profilassi. Occorre fare attenzione al dosaggio e alla durata del trattamento: in un paziente giovane potrebbero bastare 5-6 giorni, mentre in uno più anziano ne servono almeno 7-8.

Da ultimo, per favorire aderenza da parte del paziente, occorre spiegargli anche che la profilassi non è esente da effetti collaterali, il più comune dei quali è il dolore alle ossa ma deve anche capire l’importanza di proseguirla. 

Studio: Gascón, P., Awada, A., Karihtala, P. et al. Optimal use of granulocyte colony-stimulating factor prophylaxis to improve survival in cancer patients receiving treatment. Wien Klin Wochenschr (2023).