Che le mutazioni genetiche possano in qualche modo influenzare la resistenza di alcune forme tumorali a determinati trattamenti è noto da parecchi anni: nel caso del tumore a seno e ovaie, per esempio, sono determinanti le mutazioni in BRCA1 e 2. Quello che è chiaramente un ostacolo alla cura convenzionale può però diventare la base per sviluppare trattamenti ad hoc: sempre pensando al tumore di seno e ovaie, AIFA ha di recente approvato l’uso di un PARP – inibitore della poli-ADP ribosio polimerasi come farmaco di prima linea per le pazienti con carcinoma ovarico epiteliale di alto grado avanzato (FIGO Stadio III e IV), alle tube di Falloppio o peritoneale primario, in risposta completa o parziale dopo chemioterapia a base di sali di platino.
La novità di questa approvazione sta nel fatto che il farmaco potrà essere utilizzato per tutti i tumori di riferimento, quindi anche in assenza delle mutazioni BRCA1 e 2. Gli stessi farmaci sono stati inoltre oggetto di un ulteriore studio, coordinato dalla professoressa Sibylle Mittnacht dell’UCL Cancer Institute di Londra: con i colleghi, la professoressa ha osservato che i PARP possono essere utili anche nel trattare tumori con un’altra particolare mutazione, quella in RB1, un gene del cromosoma 13 che nella sua versione funzionale agisce come oncosopressore… una volta mutato, invece, può rendere assai difficile trattare un tumore.
Il team di lavoro si è in particolare concentrato sull’osteosarcoma, un raro tumore delle ossa che colpisce soprattutto bambini e soggetti giovani: tra il 40 e il 60% degli osteosarcomi sporadici presentano infatti una mutazione in RB1, il che la rende la seconda mutazioni più frequente in questo tipo di tumore. La prima è in TP53. Come per altre neoplasie, anche in questo caso la mutazione RB1 conferisce resistenza al tumore, riducendo la probabilità di prognosi favorevole e aumentando invece il rischio di metastasi.
Gli autori hanno però osservato che le linee cellulari tumorali con RB1 mutato erano fortemente sensibili ai PARP, in modo addirittura più evidente delle cellule con mutazione BRCA 1 e 2: nello studio sono stati utilizzati vari farmaci PARP (niraparib, talazoparib, olaparib, veliparib) e tutti hanno aumentato la sensibilità delle cellule tumorali. Una volta verificato che i PARP inibitori possono essere efficaci contro le cellule di osteosarcoma con mutazione RB1, gli autori hanno spostato lo studio su modello animale, in particolare somministrando a dei topi con osteosarcoma indotto una dose al giorno di farmaco per 5 giorni consecutivi.
I risultati sono stati interessanti: la terapia è stata ben tollerata, non ha dato cali ponderali o effetti altri effetti avversi, ma in compenso il tumore si è ridotto in dimensione, senza crescere eccessivamente nei 20 giorni successivi. Nei topi non trattati, al contrario, il tumore ha proseguito la sua crescita fino a raggiungere la massima dimensione possibile. La terza prova è stata condotta in tre modelli metastatici di osteosarcoma umano derivati da pazienti reali: due con la mutazione RB1 evidente.
Anche in questo caso, il trattamento è stato efficace. Lo studio lascia quindi presagire che i PARP inibitori possano essere utili anche per trattare l’osteosarcoma: servono però sperimentazioni cliniche per verificare che quanto osservato su animale e in vitro sia efficace anche nel mondo reale. In questa fase sarà certamente molto importante il farmacista ospedaliero.
(Lo studio: Zoumpoulidou, G., Alvarez-Mendoza, C., Mancusi, C. et al. Therapeutic vulnerability to PARP1,2 inhibition in RB1-mutant osteosarcoma. Nat Commun 12, 7064 (2021). https://doi.org/10.1038/s41467-021-27291-8)
Stefania Somaré