Nefropatie, nuove opzioni terapeutiche

Durante il Congresso della Società Italiana di Nefrologia sono stati presentati nuovi farmaci contro le nefropatie, che colpiscono tra il 7% e il 10% della popolazione, spesso in modo inizialmente silente, portando disagi ai pazienti su più livelli.

Le malattie nefrologiche interessano il 7-10% della popolazione, senza distinzioni tra uomini e donne. Inoltre, data la loro funzione di filtraggio e depurazione, questi organi vengono spesso intaccati anche secondariamente ad altre patologie, «come il diabete, l’ipertensione arteriosa e le malattie cardiovascolari oltre che in alcune malattie sistemiche, in particolare quelle reumatologiche, molto spesso in modo subdolo.

I reni, infatti, hanno dei meccanismi di compenso e i sintomi appaiono solo quando la funzione renale si è molto ridotta, almeno sotto al 60%», ricorda il presidente della Società Italiana di Nefrologia, Stefano Bianchi.
Per fortuna, negli ultimi anni sono state sviluppate nuove terapie che aumentano la possibilità di intervento da parte dei clinici. Se ne è parlato durante il 64° congresso della SIN, tenutosi a Torino.

Nuovi farmaci, tra anemia, prurito e glomerulonefriti

Tra le novità discusse durante il congresso ci sono, per esempio, il fineromone, farmaco che contrasta la progressione della malattia renale proteggendo allo stesso tempo l’asse reni-cuore, e il roxadustat che contrasta lo sviluppo di anemia da malattia renale cronica, evento che si verifica in quasi il 90% dei pazienti, con forte impatto sulla loro qualità di vita.

Tuttavia, l’anemia non è la sola possibile conseguenza della patologia nefrologica: quasi il 40% dei pazienti soffre anche di prurito, soprattutto se dializzati.
Infine, si è parlato di una nuova molecola attiva contro le glomerulonefriti, infiammazioni dei glomeruli renali, spesso silenti, che colpiscono anche i più giovani e portano, nel tempo, a insufficienza renale cronica: lo spartesan.

Se possibile, meglio curare a casa

È quasi un mantra che ci ricorda che, se possibile, il paziente deve essere curato al proprio domicilio e non solo per abbattere le spese sanitarie dirette, ma anche e soprattutto perché il paziente si sente più sicuro e protetto a casa propria.
C’è poi da considerare la comodità di non doversi recare più volte la settimana in ospedale per sottoporsi a dialisi. Teoricamente, confermano dal congresso SIN, i centri esperti dovrebbero infatti ricevere solo i pazienti che non possono utilizzare la dialisi peritoneale o l’emodialisi, ma non è così.

Mariacristina Gregorini, direttrice di Nefrologia all’Ausl-Irccs di Reggio Emilia e segretaria della società scientifica, sottolinea che «la diffusione di questa opzione è ancora molto limitata su tutto il territorio, con un dispendio di tempo e risorse.
Ci sono, tuttavia, alcuni casi virtuosi in Italia che ci permettono di guardare verso nuovi orizzonti di cura.
Che è il nostro impegno quotidiano per migliorare aspettativa e qualità di vita dei pazienti, riducendo i costi per il SSN e rendendo più efficienti gli ospedali, attraverso la creazione di percorsi assistenziali integrati fra ospedali e territorio».