Marcatori retinici e demenza, trovata un’associazione

Dalla malattia di Alzheimer alla demenza vascolare, dalla demenza con corpi di Lewy a quella frontotemporale. Le patologie neurodegenerative colpiscono, nelle loro varie forme, 50 milioni di persone nel mondo. Una cifra destinata ad aumentare, dato il progressivo incremento dell’età media della popolazione.

Per sviluppare strategie preventive, ridurre i tassi di mortalità, consentire un accesso tempestivo ai farmaci, migliorare la qualità della vita, stabilizzare il declino cognitivo e diminuire gli accessi in ospedale, sarebbe molto utile poter effettuare una diagnosi precoce, magari ancora prima che compaiano i primi sintomi.

Tuttavia, a oggi, non esiste un marker in grado di fornirla.
Per questo, negli ultimi dieci anni, vari specialisti stanno conducendo ricerche incentrate sullo sviluppo di marcatori retinici per la demenza, in particolare per la malattia di Alzheimer.

La misurazione dei parametri

Un gruppo di ricercatori australiani ha effettuato, tramite i database Medline, Psycinfo, Embase, una revisione sistematica di articoli peer-reviewed sul tema, arrivando a identificarne 821. Tra questi, 67 studi si sono rivelati ammissibili, di cui 60 trasversali e sette longitudinali, per un totale di 6.815 anziani.

La loro funzione cognitiva è stata valutata utilizzando strumenti di screening standard, come Mini-mental state examination, Montreal cognitive assessment, Clinical dementia rating scale, Alzheimer’s disease assessment scale, in grado di esaminare diverse capacità, tra cui orientamento, attenzione, funzioni esecutive, memoria, linguaggio, abilità visuo-spaziali, pensiero astratto e calcoli.

La retina, inclusi lo spessore dello strato di fibre nervose retiniche, le cellule gangliari, la coroide e la macula, è stata scansionata utilizzando vari strumenti, anche se il metodo più comune è stato la tomografia ottica computerizzata.

Servono ulteriori studi

I risultati della review, pubblicati su Ophthalmology, hanno evidenziato che il 51,1% degli studi trasversali ha riportato un’associazione tra l’assottigliamento di almeno un parametro retinico e una diminuita capacità cognitiva, mentre tutti gli studi longitudinali hanno mostrato riduzioni significative dello spessore delle fibre della retina nei casi di declino cognitivo.

«Dati incoraggianti», ha commentato Varshanie Jeevakumar, ricercatrice dell’Australian Institute of Health Innovation della Macquarie University, a Sydney, in Australia, «che devono, però, essere corroborati da ulteriori studi, mirati a confermare l’utilità dell’imaging retinico per misurare le abilità cognitive negli anziani».

Paola Arosio