Nel 1943 il medico Salvador Edward Luria e il fisico Max Delbrück intuirono che le mutazioni che rendono i batteri resistenti sono eventi che possono essere calcolati. E dimostrarono che i meccanismi adattativi erano riconducibili al principio darwiniano della selezione naturale. Studi che valsero ai due scienziati il premio Nobel per la medicina nel 1969.
Al loro metodo si sono ispirati i ricercatori dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano, delle Università degli Studi di Milano e di Torino e dell’Istituto di Candiolo, che hanno condotto una sperimentazione preclinica su linee cellulari, pubblicata su Nature Genetics e finanziata da Airc e European Research Council, per analizzare la resistenza dei tumori alle terapie a bersaglio molecolare.
Un approccio multidisciplinare
Nuovo l’approccio di ricerca, che ha combinato matematica e biologia.
«In questo progetto, la collaborazione multidisciplinare si è rivelata essenziale», spiega Alberto Bardelli, direttore dell’Unità Operativa di Genomica dei Tumori e Terapie Anticancro Mirate dell’Istituto di Candiolo, professore ordinario di Istologia all’Università di Torino e direttore scientifico di Ifom.
«Da un lato, le considerazioni teoriche preliminari basate sui modelli matematici hanno, infatti, permesso di progettare gli esperimenti in maniera ottimale. Dall’altro, i risultati degli esperimenti di genetica e biologia molecolare hanno consentito di applicare i modelli matematici per ideare protocolli di trattamento innovativi».
Il rischio delle cellule persistenti
In laboratorio gli sperimentatori hanno evidenziato che le target therapy inducono in alcune cellule neoplastiche, chiamate persistenti, uno stato di letargo, che le fa diventare tolleranti alla terapia. Ciò dà loro il tempo di acquisire mutazioni genetiche favorevoli, che le rendono in grado di replicarsi anche in presenza del farmaco, causando così una ripresa di malattia.
«I nostri studi hanno permesso di scoprire che la terapia stessa rende il processo di replicazione più veloce», aggiunge Mariangela Russo, ricercatrice dell’Istituto di Candiolo e dell’Università di Torino, oltre che prima autrice dell’articolo.
«Grazie agli strumenti della fisica teorica, abbiamo tradotto gli esperimenti eseguiti in provetta in linguaggio matematico, riuscendo a predire con maggiore precisione il comportamento delle cellule malate durante i trattamenti», riferisce Simone Pompei, ricercatore di Ifom e autore dell’articolo.
«In particolare, è emerso che le cellule tumorali persistenti mutano fino a 50 volte più velocemente rispetto alle altre cellule neoplastiche e ciò significa che, anche se presenti in quantità limitata, comportano un’elevata probabilità di recidiva».
I prossimi passi
I risultati ottenuti in questa ricerca costituiscono il primo passo per cercare di prevenire l’insorgenza di resistenza, impedendo così lo sviluppo di metastasi.
«In prospettiva, dal punto di vista molecolare, si potrebbe agire tentando di limitare l’incremento del tasso di mutazione delle cellule neoplastiche», annuncia Bardelli. «Dal punto di vista matematico, invece, si potrebbero modulare le dosi e i tempi di somministrazione dei farmaci antitumorali, in modo da minimizzare la possibilità di recidiva».
Il prossimo passo sarà quello di testare il protocollo in altri esperimenti preclinici, con colture cellulari in tre dimensioni derivate da campioni tessutali ottenuti dai pazienti.
Paola Arosio