Malattie ultra-rare, migliorare la legge sui farmaci orfani e la ricerca

(foto di Arek Socha da Pixabay)

È una incidenza inferiore a 1 caso ogni 1.000.000 di abitanti a definire una patologia ultra-rara: ciò significa che in Italia questi pazienti sono poche decine e anche che spesso le diagnosi sono lunghe e difficili da raggiungere e, anche quando arrivano, non portano a cure certe.
La ricerca ha bisogno di alti numeri per raggiungere risultati e dare risposte.
Eppure, alle volte si riesce a individuare una terapia o un iter diagnostico più rapido: sono le associazioni dei pazienti affetti da queste malattie ultra-rare a far sentire la propria voce in nome di tutti gli altri, accendendo un confronto necessario se si vuole che anche le agenzie regolatorie facciano il proprio.
È tempo di revisionare il Regolamento (CE) sui farmaci orfani, il n. 141/2000, è quindi occasione per tenere conto anche di queste patologie ultra-rare e per produrre una normativa sempre più capace di rispondere anche alle loro necessità mediche.

Armando Magrelli, vice chair of Committee Orphan Medicinal Products, Agenzia Europea per i medicinali-Ema, assicura: «gli unmet needs dei pazienti senza alternative di trattamento rappresentano una priorità per le istituzioni europee. Per questa ragione, nel 2016, è stato ideato Prime-PRIority MEdicines, con l’obiettivo appunto di supportare lo sviluppo di queste terapie».

Il progetto ha dato i suoi primi risultati, raccontati dallo stesso Magrelli: «i dati relativi ai primi cinque anni sono stati di recente pubblicati dimostrando l’impatto positivo generato da questo programma in tema di autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi medicinali e di riduzione delle relative tempistiche».

È tempo anche per cambiare qualcosa nel nostro Paese. La senatrice Paola Binetti, presidente Intergruppo Parlamentare per le Malattie Rare, sottolinea che «nel PNRR sono previsti 7 miliardi per le reti di prossimità, le strutture e la telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e 8,63 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del SSN. Non abbiamo più giustificazioni per non sostenere la ricerca anche in questo senso».
L’importanza di fare ricerca in questa direzione è chiara: a parte la rarità di queste condizioni mediche, è importante sottolineare anche che sono per lo più patologie gravi e invalidanti, a esordio infantile e spesso portano a morte in giovane età.

«Inoltre, la bassa incidenza spesso influisce sulla ricerca di nuove e efficaci terapie rendendo difficile l’arruolamento dei pazienti negli studi clinici e il raggiungimento dei numeri richiesti per l’interpretazione della validità dei dati dello studio», sottolinea Carlo Dionisi Vici, responsabile UOC Malattie Metaboliche, Dipartimento di Medicina Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, confermando quanto già accennato. Se non ulteriormente supportata, la ricerca di farmaci per queste malattie può richiedere tempi anche molto lunghi.

A incidere sulla prognosi è poi il ritardo diagnostico: quando i medici sanno con cosa hanno a che fare, possono mettere in moto tutto il loro sapere e i mezzi a disposizione per trattare il paziente, ma prima sono quasi bloccati. In questo senso, lo screening metabolico neonatale è un valido aiuto, almeno per le malattie metaboliche, perché permette di iniziare i trattamenti da subito, o di avviare i bambini verso sperimentazioni cliniche già in atto. Se ci sono. Similmente, si vorrebbe introdurre uno screening genetico per individuare precocemente le encefalopatie epilettiche e i quadri complessi di autismo: ciò permetterebbe di anticipare le cure. Sembra che tra i casi di encefalopatie epilettiche circa il 75% non venga diagnosticato. Insomma, le associazioni chiedono che la politica si faccia davvero carico anche di questi pazienti.

Stefania Somaré