È disponibile e rimborsato anche in Italia zanubrutinib, inibitore orale della tirosinchinasi di Bruton (BTK) indicato nel trattamento di pazienti adulti affetti da macroglobulinemia di Waldenström (WM) sottoposti ad almeno una precedente terapia o come trattamento di prima linea per pazienti non idonei alla chemioimmunoterapia.
L’approvazione di AIFA arriva a seguito dei risultati dello studio ASPEN.
L’annuncio viene da BeiGene, l’azienda biotech che ha produce e commercializza la molecola.
Lo studio ASPEN (1)
È uno studio multicentrico di fase 3, randomizzato, in aperto, disegnato con l’obiettivo di confrontare efficacia e sicurezza di zanubrutinib con ibrutinib in pazienti con WM recidivante o refrattaria (R/R), o pazienti con WM naïve al trattamento considerati non idonei alla chemioimmunoterapia.
Questi gli obiettivi dello studio: end point primario la valutazione della superiorità di zanubrutinib rispetto a ibrutinib in termini di tasso di risposta completa (CR) o parziale molto buona (VGPR) ed endpoint secondari il tasso di risposta maggiore, la durata della risposta, la sopravvivenza libera da progressione e il profilo di sicurezza, misurata in base all’incidenza, alla tempistica e alla gravità degli eventi avversi in corso di trattamento.
Lo studio ha analizzato tre bracci in due coorti di pazienti: una coorte sottoposta a randomizzazione (coorte 1) composta da 201 pazienti portatori di una mutazione del gene MYD88 (MYD88MUT), di cui 83 ricaduti/refrattari e 19 naïve al trattamento e 99 pazienti nel braccio ibrutinib di cui 81 ricaduti/refrattari e 18 naïve al trattamento, e una coorte non randomizzata (coorte 2) composta da 28 pazienti con MYD88 wild-type (MYD88WT).
Nella coorte 1, i pazienti nel braccio di trattamento hanno ricevuto zanubrutinib 160 mg due volte al giorno (BID) e quelli del braccio ibrutinib 420 mg una volta al giorno (QD).
Nella coorte 2, non randomizzata, è stato somministrato zanubrutinib a seguito dell’evidenza, da precedenti studi di letteratura, di scarsi benefici da una teraia con ibrutinib. Zanubrutinib ha dimostrato un profilo di sicurezza più favorevole rispetto a ibrutinib, con una minore frequenza di reazioni avverse: queste hanno incluso fibrillazione o flutter atriale (2% contro 15%), episodi meno frequenti di sanguinamento (49% contro 59%) e di emorragia grave (6% contro 9%).
Nonostante tassi più elevati di neutropenia di grado ≥3, i pazienti in trattamento con zanubrutinib non si sono rilevati tassi di infezione superiori rispetto a quelli trattati con ibrutinib.
Dei 101 pazienti con WM in terapiacon zanubrutinib, il 4% ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi, mentre nel 14% dei casi la dose è stata ridotta a causa di eventi avversi.
«L’inibizione della tirosin-chinasi di Bruton», spiega Pier Luigi Zinzani, professore ordinario di Ematologia presso l’Università degli Studi di Bologna, Istituto di Ematologia L e A Seragnoli, «è un approccio consolidato per il trattamento della WM e l’approvazione di zanubrutinib offre un’importante nuova opzione terapeutica in questi pazienti che potranno essere trattati con una molecola innovativa potenzialmente in grado di indurre una risposta profonda e duratura con una migliore tollerabilità».
La molecola
Zanubrutinib è un inibitore della BTK scoperto dai ricercatori di BeiGene, attualmente in fase di valutazione a livello globale in un ampio programma clinico per valutarne l’impiego in monoterapia e/o in combinazione con altre terapie nel trattamento di vari tumori maligni delle cellule B.
Poiché la proteina BTK viene continuamente sintetizzata dall’organismo, zanubrutinib è stato progettato specificamente per ottenere un’inibizione completa e prolungata di questa chinasi, grazie all’ottimizzazione della biodisponibilità, dell’emivita e della selettività del farmaco.
È stato dimostrato che, per effetto della sua farmacocinetica, zanubrutinib inibisce la proliferazione dei linfociti B maligni all’interno di vari tessuti rilevanti per la malattia.
La patologia
«La WM è una malattia linfoproliferativa relativamente rara e solitamente a lenta progressione», precisa Marzia Varettoni, dirigente medico della Divisione di Ematologia della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, «caratterizzata dall’infiltrazione del midollo osseo da parte di linfociti, plasmacellule e linfoplasmociti che secernono una proteina monoclonale di tipo IgM nel siero. Ovvero la WM inizia nei linfociti B, un tipo di globuli bianchi coinvolti nella risposta del sistema immunitario.
Con il progredire della malattia la WM può portare a un accumulo di proteine che interrompono il normale sviluppo delle cellule nel sangue nel midollo osseo, con la conseguente possibilità di manifestare i sintomi, quali debolezza, perdita di appetito, febbre, sudorazione, perdita di peso e neuropatia. Sintomi meno comuni includono: ingrossamento dei linfonodi, addome gonfio, emorragie o problemi cardiaci».
La WM rappresenta circa il 2% di tutti i linfomi non-Hodgkin e, in genere, evolve lentamente dopo la diagnosi con una tasso di sopravvivenza a cinque anni di circa il 78%.
La malattia colpisce in prevalenza soggetti anziani (età media alla diagnosi 70 anni circa) ed è localizzata prevalentemente nel midollo osseo, sebbene anche i linfonodi e la milza possano essere coinvolti.
In Europa, il tasso di incidenza stimato della WM è di circa sette su un milione negli uomini e quattro su un milione nelle donne.
«L’ottenimento della rimborsabilità di zanubrutinib in Italia», conclude Marco Sartori, general manager di BeiGene Italia, «rappresenta un importante passo avanti per l’accesso a farmaci oncologici innovativi a livello globale».
A oggi, zanubrutinib è approvato in più di 55 Paesi tra cui Stati Uniti, Cina, Unione Europea, Gran Bretagna, Canada e l’Australia.
Di recente l’EMA ha approvato zanubrutinib per il trattamento di pazienti adulti affetti da linfoma della zona marginale che hanno ricevuto almeno una precedente terapia a base di anticorpi anti-CD20 e per il trattamento di pazienti adulti con leucemia linfocitica cronica; entrambe le indicazioni non sono ancora ancora rimborsate dall’SSN.
(1) Tam CS, Opat S, D’Sa S et al. A randomized phase 3 trial of zanubrutinib vs ibrutinib in symptomatic Waldenström macroglobulinemia: the ASPEN study. Blood, 2020, 136 (18):2038-2050. Doi: 10.1182/blood.2020006844
Francesca Morelli