Long Covid, ecco i fattori di rischio

Elevata carica virale di Sars-Cov-2, infezione attiva da virus di Epstein-Barr, presenza di alcuni autoanticorpi che prendono di mira le proteine dell’organismo invece di virus o batteri, preesistente diabete di tipo 2.

Sono questi, secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Institute for Systems Biology di Seattle, negli Stati Uniti, i fattori di rischio, rilevabili già alla diagnosi, del Long Covid, una condizione in cui un paziente guarito dal nuovo Coronavirus e negativo al tampone continua a manifestare sintomi correlati alla patologia.

In particolare, secondo le autorità sanitarie mondiali, un assistito su quattro affetto dal virus avrebbe disturbi che persistono dopo quattro-cinque settimane e uno su dieci presenterebbe sintomi dopo tre mesi.

Analizzati oltre 200 pazienti

Nello studio il team ha monitorato 209 pazienti con Covid (di cui circa il 70% ricoverato in ospedale) con l’obiettivo di individuare i tratti comuni a coloro che sono andati incontro a sequele della malattia.
I partecipanti sono stati analizzati, attraverso campioni di sangue e tamponi nasali, in tre momenti, ovvero in fase di diagnosi, in fase di malattia acuta e in fase di convalescenza.

Durante quest’ultimo follow-up, gli assistiti hanno anche compilato un’indagine sui sintomi correlati al long Covid, tra cui tosse, affaticamento, mancanza di respiro, febbre o brividi, dolori muscolari, nausea, diarrea, dolori addominali, ansia, visione offuscata, depressione, problemi di memoria, difficoltà di concentrazione, insonnia, vertigini, mal di testa, perdita del gusto e dell’olfatto.

Negli assistiti con postumi almeno un fattore di rischio

Nel complesso, circa il 37% dei pazienti ha riportato tre o più sintomi, il 24% ne ha riferiti uno o due, mentre il restante 39% non ha riportato alcun disturbo. I problemi più comuni sono stati quelli respiratori, seguiti nell’ordine da disturbi neurologici, perdita del gusto e dell’olfatto, sintomi gastrointestinali.

Ebbene, nel primo gruppo di assistiti è emerso che il 95% ha mostrato almeno uno dei quattro fattori di rischio identificati.

«Questi ultimi erano collegati al long Covid indipendentemente dal fatto che l’infezione iniziale fosse grave o lieve», ha precisato James Heath, coordinatore dello studio e presidente dell’Institute for Systems Biology. «In particolare, è emerso che diversi tipi di autoanticorpi erano associati a diversi tipi di long Covid.

Per esempio, i pazienti con problemi neurologici hanno mostrato livelli più elevati di immunoglobuline G contro la proteina del nucleocapside di Sars-Cov-2, mentre quelli con sintomi respiratori presentavano autoanticorpi contro l’interferone alfa-2». Il ricercatore ha poi posto l’accento sull’«importanza di identificare i fattori di rischio già alla diagnosi, dato che la precoce assunzione di antivirali potrebbe mitigare gli effetti del long Covid».

Risultati iniziali, ma promettenti

Uno studio che necessita di ulteriori conferme esaminando un gruppo più ampio di pazienti, ma i cui risultati sembrano promettenti, anche alla luce di altre ricerche che ne supportano gli esiti. In particolare, uno studio pubblicato nel 2021 su Pathogens e realizzato da ricercatori statunitensi aveva evidenziato che Sars-Cov-2 può in effetti riattivare il virus di Epstein Barr, di cui è portatore circa il 95% della popolazione mondiale, che a sua volta può favorire il long Covid.

Paola Arosio