L’ipotiroidismo sottotrattato prolunga la degenza ospedaliera

Stanchezza, intolleranza al freddo, aumento di peso, dolori muscolari, sonnolenza, depressione, abbassamento della voce, ma anche stipsi, mancanza di appetito, movimenti rallentati, anemia. E ancora, edema del viso e delle mani, aumento del colesterolo, rallentamento del battito cardiaco.

Sono i numerosi sintomi dell’ipotiroidismo, la più comune patologia tiroidea (colpisce l’1-3% della popolazione), che si manifesta con una scarsa attività della ghiandola, con conseguente ridotta produzione di ormoni tiroidei (T3 e T4).

Contemporaneamente la produzione di tireotropina, l’ormone che stimola la tiroide (Thyroid-stimulating hormone, Tsh), aumenta, perché viene meno l’effetto inibitorio che T3 e T4 esercitano sulla sua secrezione.

La giusta dose di levotiroxina

La terapia, di tipo sostitutivo, consiste nella somministrazione orale di levotiroxina, un farmaco sintetico analogo all’ormone T4, che verrà poi in parte trasformato in T3 dall’organismo stesso.

Capita, tuttavia, che non sempre il trattamento raggiunga i suoi obiettivi. In particolare, poiché l’indice terapeutico della molecola è ristretto, è possibile che si verifichi un sotto-trattamento. Condizione che, secondo recenti stime, riguarderebbe circa il 20% degli assistiti. Questa percentuale è confermata da uno studio del National Health System inglese, che ha evidenziato che, cinque anni dopo l’inizio della terapia, il 21,5% dei pazienti era sotto-trattato.

Analizzati oltre 40 mila pazienti

Un problema, quello del sotto-trattamento, che influisce negativamente sulla qualità di vita dell’assistito, esponendolo a maggiori rischi per la salute, ma anche sulle casse del sistema pubblico, visto che la terapia non ottimale dell’ipotiroidismo è associata a esiti ospedalieri peggiori. Lo dimostra, in particolare, uno studio di coorte retrospettivo, relativo al periodo tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2015, pubblicato nell’aprile 2022 sul The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism e condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Chicago.

Gli scienziati hanno analizzato in totale 43.478 pazienti, di cui 8.873 con ipotiroidismo, di età pari o inferiore a 64 anni, il cui livello di Tsh era stato misurato, tramite un prelievo di sangue, prima del ricovero in ospedale. Ebbene, dai dati è emerso che gli assistiti con un livello elevato di Tsh pre-ospedalizzazione andavano incontro a una degenza più lunga di 1,2 giorni, a un rischio maggiore del 49% di riammissione a 30 giorni e a un tasso più alto del 43% di riammissione a 90 giorni rispetto al gruppo di controllo. Al contrario, i pazienti con livelli di Tsh nella norma hanno mostrato una riduzione del rischio di mortalità intraospedaliera e di riammissione a 90 giorni.

Paola Arosio