Chi è più povero e svantaggiato assume più farmaci perché si trova in condizioni di salute peggiori: è quanto emerso, in sintesi, dall'”Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche”, un volume di oltre 150 pagine suddivise in quattro sezioni, curato dall’AIFA.
«L’obiettivo dell’indagine è stato quello di valutare la correlazione, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, tra l’accesso ai medicinali per le patologie croniche e alcuni fattori socio-economici, come istruzione, occupazione, composizione del nucleo familiare, condizioni abitative», ha affermato Nicola Magrini, direttore generale dell’ente.
I consumi dei farmaci
Nel lavoro sono state analizzate, negli adulti, le prescrizioni di medicinali contro ipertensione, dislipidemie, ipotiroidismo, ipertiroidismo, depressione, demenza, malattia di Parkinson, osteoporosi, ipertrofia prostatica benigna, iperuricemia e gotta, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva e, nei bambini, di farmaci utilizzati per trattare asma, epilessia, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Adhd).
In testa nella classifica delle molecole più utilizzate figurano gli antipertensivi e gli ipolipemizzanti, seguiti dai farmaci per l’ipertrofia prostatica negli uomini e dagli antidepressivi nelle donne. Per quanto riguarda i piccoli pazienti, il consumo più elevato è stato registrato per i farmaci respiratori, seguiti da antiepilettici e da medicinali per il trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione.
A livello geografico, si osservano consumi più elevati al Sud e nelle Isole, con l’unica eccezione degli antidepressivi, che sono più prescritti al Nord.
«I risultati suggeriscono che la posizione socio-economica è fortemente correlata con l’impiego dei farmaci», spiega Magrini, «e che il consumo di questi ultimi è più elevato tra le persone residenti nelle aree più svantaggiate del Paese, probabilmente a causa del peggiore stato di salute, che potrebbe essere associato a uno stile di vita non corretto».
Aderenza e persistenza
I livelli medi di aderenza e persistenza al trattamento farmacologico calcolati a livello nazionale sono in generale poco soddisfacenti. Per quanto riguarda il primo parametro, alti livelli di aderenza si registrano per i farmaci contro l’osteoporosi (circa 70%) e contro l’ipertrofia prostatica benigna (circa 62%), mentre livelli molto bassi si riscontrano nel caso dei medicinali per contrastare l’ipotiroidismo (19,1% per gli uomini e 11,4% per le donne) e la malattia di Parkinson (22,9% per gli uomini e 18,3% per le donne).
Per quanto concerne poi il secondo parametro, la quota di pazienti ancora in trattamento a 12 mesi dall’inizio della terapia supera il 50% solo nel caso dei farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti e antidemenza negli uomini e nel caso dei farmaci antidemenza e antiosteoporotici nelle donne. Nessuno dei due parametri pare, tuttavia, influenzato da variabili socio-economiche, facendo supporre che, una volta che il paziente ha avuto accesso alla terapia, la presa in carico non si modifichi al variare del livello di deprivazione.
Verso la riduzione delle disuguaglianze
«L’atlante risponde a un indirizzo istituzionale nazionale ed europeo che da tempo invita a concentrare l’attenzione su questi temi», sottolinea Francesco Trotta, dirigente del settore Hta ed economia del farmaco di Aifa. «La pubblicazione è il punto di partenza di un progetto ambizioso, condiviso con alcuni dei principali gruppi di ricerca italiani, che sono ora a disposizione per ulteriori analisi. Queste ultime dovrebbero poi tradursi in iniziative e pratiche mirate alla concreta riduzione delle disuguaglianze».
Paola Arosio