L’ipertensione arteriosa polmonare (PAH) è una malattia rara, in prevalenza a carico del genere femminile, poco conosciuta, progressiva e invalidante.
La sua incidenza è di circa 1,5-2 casi l’anno per milione di abitanti, quindi assolutamente modesta.
Oggi sono circa 3500 pazienti in Italia affetti da ipertensione arteriosa polmonare e, per questo, sono pochi gli specialisti che in Italia si occupano della patologia.
Tra questi vi è il dott. Gavino Casu, direttore UOC di Cardiologia Clinica e Interventistica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari.
«I pazienti PAH passano dal medico di medicina generale al cardiologo, allo pneumologo, cercando risposte e ricevono le diagnosi più disparate. In realtà, quando c’è un sospetto di diagnosi, l’esame di screening è l’ecocardiogramma o il doppler.
Una volta posto il sospetto, il paziente va riferito a un centro esperto dove, attraverso una serie di esami sequenziali, è possibile confermare l’ipertensione polmonare, per poi arrivare alla diagnosi di ipertensione arteriosa polmonare, fatta per esclusione attraverso una serie di esami radiologici, scintigrafici e invasivi, come il cateterismo cardiaco destro, che deve essere fatto in un centro cardiologico da medici cardiologi esperti di ipertensione polmonare e che possono confermare la diagnosi definendo anche la gravità della patologia.
Quando si hanno tutti questi dati si stratifica il rischio, per poi scegliere la strategia terapeutica più adeguata al paziente. La strategia terapeutica è estremamente aggressiva, trattandosi di una malattia molto poco controllabile e che può essere letale».
I pazienti PAH convivono con una dispnea che cresce in modo progressivo e che diventa angosciante, fino all’impossibilità di respirare e compiere degli sforzi.
«Fino a poco tempo fa avevamo a disposizione dieci farmaci, oppure si optava per il trapianto di polmone. A New Orleans, di recente, sono stati presentati i risultati dello studio Stellar relativo a un nuovo farmaco estremamente innovativo.
Si tratta del sotatercept un farmaco che, modificando la struttura del vaso influisce sull’espressione genica che provoca l’ipertrofia del ventricolo destro, causa di uno scompenso progressivo.
Si tratta di una terapia che, una volta intercettato precocemente il paziente, permette di evitare l’evoluzione della malattia nelle fasi più avanzate e anche di tornare indietro da una situazione che è drammatica. Si tratta di una nuova speranza di cambiare il destino dei pazienti.
Oggi sono trenta i centri di riferimento che fanno parte di IPHNET, un network all’avanguardia che permette ai pazienti di ricevere una diagnosi tempestiva e accurata e strategie terapeutiche che agiscono su tutti i meccanismi fisiopatologici della PAH.