Il contributo della medicina dei sistemi al long Covid

(immagine: Pixabay)

Dalla riduzione della neuroinfiammazione alla fatigue cronica fino a sintomi psicosomatici nei bambini. Sono alcuni ambiti in cui la medicina dei sistemi, attraverso l’impiego di rimedi low dose, in affiancamento alle terapie tradizionali, ha dimostrato efficaci nella gestione dei sintomi in pazienti long Covid, contribuendo cioè al ripristino di una condizione di omeostasi.
Tra gli esempi più interessanti il ricorso anche alla terapia iperbarica e di un cocktail di diversi rimedi a supporto in caso di implicazione cardiovascolare.

I primi studi

Impiegare l’ossigenoerapia iperbarica nel paziente long Covid: le esperienze, in Italia, sono ancora sperimentali ma di successo, e risalgono al 2020.

L’idea nasce presso l’ASL dell’Emilia-Romagna, di cui fa parte anche il Centro Iperbarico di Ravenna in cui è stato istituito un gruppo multidisciplinare (virologo, pneumologo, cardiologo specialista iperbarico e altri) per la prevenzione delle implicazioni da Covid, avviando un protocollo di trattamento, descritto in uno studio dedicato (Longobardi P, Hoxha K, Perreca F. Is hyperbaric oxygen ane effective treatment for the prevention of complications in SARS-CoV-2 asymptomatic patients? Infectious Microbes&Diseases, 2021, 3:2), dopo l’ingresso del vaccino su un ristretto gruppo di pazienti che mostravano sintomi tipici da Long Covid, ricevendo benefico da ossigeno iperbarico e un supporto della medicina di sistemi, su diverse condizioni quali brain fog, incapacità di recupero dello sforzo.

In funzione di tali risultati positivi ottenuti, si è studiato anche il possibile impatto su patologie cardiovascolari: recenti studi hanno infatti dimostrato la potenziale relazione fra Covid, vaccino e eventi cuore correlati come infarto, scompenso, miocarditi e alla sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTs) in cui ai assiste a un aumento dei battiti (>30 bpm) nella variazione posturale da posizione seduta a eretta, quest’ultima comune a oltre 37 mila pazienti (31%) Covid.

Famigliarità e fattori di rischio per patologie cardiovascolari (colesterolo LDL alto, obesità, dieta scorretta, sedentarietà ecc.), ovvero la diatesi biopsicosociale, aumentano la possibilità di danno al cuore con sensibilità maggiore esposizione anche a livello cerebrale.

Su tali aspetti può grava anche la componente genetica: «l’alterazione dei geni per inflammasoma (NLRP3) – informa Pasquale Longobardi, specialista in Medicina Iperbarica e Subacquea, direttore sanitario del Centro Iperbarico Ravenna – può determinare la risposta individuale: ovvero uno stato di infiammazione di breve durata/transitoria in caso di un selettore con buona risposta del sistema immunitario o viceversa lo sviluppo di sull’infiammazione cronica con un impatto dunque sulla diversa regolazione del PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunitario)».

Le più recenti evidenze

Uno studio condotto dal Centro Iperbarico e dal Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Bologna su campioni di sangue prelevati in pazienti trattati in camera iperbatica e con medicina di regolazione dei sistemi si è potuto osservare che le Beta-2 integrine dei globuli bianchi si riducevano significativamente dopo una settimana di trattamento, mentre a due settimane il globulo bianco perdeva la capacità della diapedesi, attraverso l’endotelio, e quindi di danno tissutale.

Si è inoltre osservato che tutti gli stressors (ambientali, psicologici, fisici, di malattia) contribuisco a eliminare il grippo metile dal DNA.

«Il gruppo metile può essere paragonato a un freno, se viene rimosso sia ha una sovraespressione dei recettori ACE, che rappresentano la porta di ingresso del virus nell’organismo, e l’attivazione dei geni stimolati dall’interferone, dal fattore nucleare KB1 e dai geni che producono citochine. Ovvero a cascata stress ossidativo genera uno stato infiammatorio con innesco del danno infiammatori.

Nello specifico il danno cardiovascolare può essere indotto dall’azione tossica delle citochine pro-infiammatorie con sviluppo di endotelite, trombosi, disregulation del sistema renina-angiotensina-aldosterone, mentre è decaduta l’ipotesi di una azione diretta del virus sul miocardio (miocardite, pericardite) mentre agirebbe sul pericita, una cellula che si appoggia sul vaso sanguigno, regolando il calibro del vaso sanguigno sia a livello del cuore che del cervello.

Ovvero il pericita diventa serbatoio di sostanze tossiche da cui l’incapacità di recuperare lo sforzo e quindi il vaso laddove si sia prodotto acido lattico che richiede un maggior flusso sanguigno. Si genere cioè un’attivazione delle adipochine proinfiammatorie dal tessuto adiposo perivascolare».

A questi fenomeni si aggiunge una risposta autoimmune contro i recettori colinergici e adrenergici con espressione di fattori protrombotici e possibile ipertensione polmonare tromboembolica e una ridotta attività della sintesi del monossido di azoto (Ossido Nitrico Sintetasi, NOS), che è un messaggero importante dell’azione dell’endotelio e stress ossidativo, avviando un possibile processo di fibrosi miocardica».

Il monossido di carbonio è un messaggero ubiquitario che può apportare benefici in termine, per esempio, di attività antimicotica, anti-apoptosi, antiossidante, o dannosi con danno tissutale, citotossicità, mutagenesi e cancerogenesi.

«È stato dimostrato», aggiunge Longobardi, «che i pazienti deceduti per Covid hanno mediamente 20 anni in più rispetto a pazienti Covid positivi e che l’82% presentava all’incirca 3 comorbidità correlate al polimorfismo dei NOS».

Dunque, in presenza di comorbidità che agiscono come inibitori NOS, la NO si riduce significativamente rappresentando un trigger che facilita l’ingresso di Covid nell’organismo. Da qui la necessità di aumentare di almeno 4 volte l’ossigeno, possibile in ambiente iperbarico, con OTI terapia mirata.

L’approccio farmacologico low dose

«È consigliato agire a 8-12 settimane dell’infezione», suggerisce Longobardi, «con indagini diagnostiche e esami specifici cardiologiche (ECG, ecocardiografia TT, PCR, troponina, emoglobina glicata, biopsia del miocardio) in relazione al sospetto diagnostico di base, e test fra cui il test del cammino, dei 6 minuti da eseguirsi con saturimetro, e/o un test cardioplomonare con una buona azione a livello mitocondriale.

Da un punto di vista farmacologico, è consigliato intervenire con una terapia multitarget che vada a lavorare sulla rete dei sistemi, con regolatori di base e/o avanzati in fase cronica, e citochine low-dose integrabili anche con la medicina tradizionale.

Un’ipotesi di trattamento potrebbe incldere la terapia OTI con azione mitocondriale e attivazione di fattori pro-vita (NGF, VEGF), SDF-1 e Eritropoeitina e dall’altro contrasto dell’apoptosi.
L’OTI può essere combinata a BrSM (coenzyme compositum, Ubichinon, Solanum compositum, Gallum Heel) somministrata in EV o IM ,1 volta a settimana per 10 settimana, supporatat per bocca BDNF e arnica compositum».

Francesca Morelli