Indicati come trattamento di prima linea per la prevenzione degli ictus in pazienti con fibrillazione atriale, gli anticoagulanti orali possono dare problemi in pazienti over 75 o in subpopolazioni fragili o affette da patologia cronica.
L’ictus è una delle complicanze più gravi della fibrillazione atriale: per prevenirlo, il gold standard è la terapia a base di anticoagulanti orali.
La prevalenza della fibrillazione atriale aumenta con l’età, attestandosi al 15% circa sopra i 75 anni.
In questi pazienti, però, la terapia anticoagulante può generare fenomeni emorragici altrettanto gravi di quelli trombotici, motivo per cui occorre valutare attentamente il rapporto costo/beneficio in ogni soggetto.
Una revisione della letteratura, condotta da ricercatori inglesi e danesi, propone anche uno strumento per supportare i clinici nella scelta prescrittiva degli anticoagulanti orali in pazienti anziani con fibrillazione atriale, in particolare in quelli con comorbidità importanti, come patologia renale, disabilità cognitive o demenza, precedenti episodi di attacchi ischemici transienti, emorragie intracraniche, o caratterizzata da un regime di polifarmacologia, fragilità, rischio di caduta e basso peso corporeo, tutte condizioni che richiedono di valutare attentamente l’uso degli anticoagulanti.
Alcune evidenze dalla letteratura, ma molto va ancora dimostrato
Pubblicato su Expert Review of Cardiovascular Therapy, il lavoro prende inizialmente in considerazione le strategie terapeutiche più utilizzate al momento nella popolazione descritta. Tra queste, l’uso dei nuovi anticoagulanti orali (NOAC) ha permesso di estendere la terapia a più pazienti, tanto da essere suggeriti come prima linea di trattamento dalle linee guida europee e britanniche.
Gli studi randomizzati focalizzati sui NOAC ne provano l’efficacia nel ridurre il rischio di stroke ed emorragia entracranica, ma sottolineano anche un aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale, negli over 75 e in chi soffre di patologia renale, inoltre, si suggeriscono sottodosaggi che, a loro volta, si associano più frequentemente a complicanze.
Ne deriva che, anche per i NOAC; occorre effettuare un’attenta valutazione multidisciplinare, anche per eventualmente decidere quale farmaco sia il più adeguato. Altro aspetto importante è confrontare i risultati ottenuti nei trial clinici con quelli real world: la revisione di quanto presente in letteratura porta gli autori di questo lavoro a sottolineare che gli esiti sono spesso simili: i NOAC risultano più efficaci del warfarin nel ridurre il rischio di stroke ed embolia sistemica.
Tra i NOAC, invece, sembra che apixaban ed edoxaban si associno al minor rischio di sanguinamento maggiore rispetto a dabigatran e rivaroxaban. Altro dato riportato è l’inutilità di sottoporre questi pazienti a terapia antipiastrinica: diversi gli studi a supporto di questa affermazione, sia randomizzati sia osservazionali, sempre con esiti che mostrano la superiorità del warfarin nel ridurre il rischio di ictus rispetto all’aspirina.
Essenziale l’équipe multispecialistica
Dopo aver attentamente valutato i lavori presenti in letteratura inerenti all’uso di anticoagulanti orali in pazienti anziani affetti da una o più patologie, gli autori sottolineano l’inconsistenza degli studi randomizzati e osservazionali a oggi prodotti su pazienti ad alto rischio nel supportare la decisione del clinico.
Come già accennato, diventa fondamentale lavorare in equipe multidisciplinare, coinvolgendo gli specialisti delle malattie compresenti nel dato paziente, per individuare la strategia terapeutica più adatta al suo caso, ricordandosi di rivalutare il caso di frequente, per assicurarsi che il percorso scelto sia efficace e sicuro.
(Lo studio: Leona A. Verma, Peter E. Penson, Asangaedem Akpan, Gregory Y.H. Lip & Deirdre A. Lane (2023) Managing older people with atrial fibrillation and preventing stroke: a review of anticoagulation approaches, Expert Review of Cardiovascular Therapy, 21:12, 963-983, DOI: 10.1080/14779072.2023.2276892)