Escherichia coli, batterio sempre più pericoloso

La malattia invasiva da Escherichia coli extraintestinale, comprese le infezioni del flusso sanguigno, la sepsi e lo shock settico, può generare alti tassi di ospedalizzazione ed elevata mortalità.
Lo conferma uno studio di coorte, retrospettivo, multicentrico, pubblicato su Open Forum Infectious Diseases, durante il quale sono state valutate le cartelle cliniche di 17 ospedali in Canada, Stati Uniti, Giappone, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna. Iniziata il 28 settembre 2018, la raccolta dei dati è riferita al periodo compreso tra il 9 gennaio 2018 e l’8 novembre 2019.

Coinvolti circa mille pazienti

I ricercatori hanno selezionato 902 pazienti con segni di un’infezione invasiva da Escherichia coli. Maschi e femmine erano equamente distribuiti e l’età media era di 71 anni. La maggior parte (76,5%) aveva un’età uguale o superiore a 60 anni e il 90,1% viveva a casa.

Nel 51,9% dei casi la patologia era stata contratta in comunità, nel 25,1% era stata acquisita in ospedale, nel 23% era associata all’assistenza sanitaria. I termini anamnestici più comunemente riportati sono stati carcinoma (34,1%), diabete mellito (19,1%), malattia renale cronica (14,4%), infezioni delle vie urinarie (12,3%).

Complessivamente, il 54,3% degli assistiti era stato sottoposto a procedura medica diagnostica o interventistica nei 12 mesi precedenti, correlata nel 41,8% dei casi al tratto gastrointestinale, nel 39,6% all’apparato genito-urinario, nel 22,2% al sistema cardiovascolare. Nei tre mesi antecedenti l’episodio infettivo, 228 pazienti (25,3%) avevano ricevuto una terapia immunosoppressiva.

Vie urinarie le più colpite

La fonte più comune di infezione è stato il tratto urinario (52,3%). Per i pazienti che hanno acquisito il germe in ospedale, anche l’apparato gastrointestinale si è rivelato una fonte frequente di infezione (32,7%). Nell’89,5% dei casi E. coli è stato l’unico patogeno causale, nel restante 10,5% dei casi è stato uno dei patogeni.

Al momento della diagnosi, il 96,8% degli assistiti riportava almeno un sintomo o un segno dell’infezione, inclusi febbre (70,3%), nausea o vomito (30,8%), brividi (24,4%) e malessere (20,2%).
Secondo la valutazione del medico, il 65,3% dei pazienti presentava sepsi e il 14,1% shock settico. Al 77,4% dei partecipanti è stata diagnosticata la sindrome da risposta infiammatoria sistemica.

Ricovero e terapie

Il ricovero per infezione da E. coli è durato in media 21 giorni. Il tasso di riammissione ospedaliera entro 30 giorni dalla dimissione è stato dell’11,9%, con una durata media del ricovero di 12,8 giorni.

Il 96,5% dei pazienti è stato sottoposto a terapia antibiotica. In particolare, il 77,8% degli assistiti ha iniziato il trattamento il giorno della raccolta del campione di coltura e il 19,1% il giorno successivo. In aggiunta agli antibiotici, il 47,5% dei pazienti ha ricevuto anche una terapia non antibiotica.
Il 44,8% degli assistiti ha ricevuto, inoltre, una terapia di supporto, come sostegno respiratorio (18,3%), trasfusioni (16,3%), emodialisi (3%).

Resistenza antimicrobica

Un totale di 587 (65,6%) isolati di E. coli era resistente ad almeno un antibiotico in almeno una classe di farmaci, 365 (40,8%) erano resistenti ad almeno un antibiotico in almeno due classi.

Più del 25% degli isolati era resistente ad amoxicillina (57,8%), piperacillina (54,7%), amoxicillina-clavulanato (33,6%), trimetoprim-sulfametossazolo (29,2%), ciprofloxacina (26,8%) e levofloxacina (25,4%). Dieci isolati erano resistenti ai carbapenemi (1,1%).

Deceduto un paziente su cinque

Nel 38,1% dei pazienti sono state riportate complicanze correlate al supergerme, come disfunzione renale, cerebrale, cardiaca, polmonare, ipotensione, ipoperfusione, polmonite.
Gli assistiti di età superiore ai 60 anni hanno avuto maggiori probabilità di mostrare disfunzione d’organo rispetto a quelli di età uguale o inferiore a 60. Durante il periodo di follow-up di 28 giorni sono morti 180 pazienti (20%).

«Il nostro studio ha registrato un ritardo nell’inizio della terapia antibiotica (il trattamento è, cioè, cominciato dopo il giorno della raccolta del campione di coltura) in oltre un quinto dei pazienti», hanno commentato i ricercatori.
«L’inizio tardivo degli antibiotici, unito all’età avanzata degli assistiti e alla resistenza antimicrobica, può spiegare l’elevata mortalità.
Aumentare la consapevolezza e lo screening per E. coli negli over 60 potrebbe migliorare la gestione del paziente».