Epatocarcinoma, aumenta la sopravvivenza grazie a nuovi protocolli terapeutici

L’epatocarcinoma è la causa di 800 mila decessi ogni anno, numero che, stando alle stime più accreditate, potrebbe superare il milione entro il 2030. I nuovi protocolli terapeutici, che includono farmaci antiproliferativi e terapie biologiche come le immunoterapie, sovente in combinazione, consente di allungare in modo significativo la vita dei pazienti.

Le nuove sfide e opportunità dei nuovi approcci terapeutici verranno discussi in occasione del pre meeting del 23 marzo, alla vigilia del 54° Congresso dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – AISF, che si terrà il 24 e 25 marzo a Roma. Punto di partenza delle riflessioni sarà il position paper sulle terapie sistemiche dell’epatocarcinoma firmato dal Comitato Scientifico dell’AISF.

L’epatocarcinoma è una delle neoplasie che ancora oggi presenta il più alto livello di mortalità nel mondo, con circa 800mila decessi l’anno e un aumento che porterà a superare il milione entro il 2030.
Grazie agli importanti progressi della ricerca, lo scenario è in rapida e continua evoluzione con l’approvazione di nuovi farmaci – come gli antiproliferativi o le terapie biologiche – in grado di incidere drasticamente sull’aspettativa di vita dei pazienti affetti da questa patologia oncologica. Sono questi i temi principali che verranno discussi nella giornata del 23 marzo dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – AISF in occasione del pre meeting, e nelle giornate del 24 e 25 marzo in occasione del 54° Congresso Nazionale che si terrà a Roma.

Cambia l’identikit del paziente

A modificarsi, negli ultimi tempi, non sono state tanto prevalenza o incidenza dell’epatocarcinoma, quanto l’identikit del paziente.

«Il miglioramento delle terapie antivirali o di supporto ai pazienti cirrotici ha permesso ai pazienti con epatopatia cronica avanzata di limitare episodi di scompenso, rendendo sempre più evidente il ruolo dell’epatocarcinoma quale causa di morbilità e mortalità in questi soggetti», ha sottolineato Mario Masarone, del Comitato Scientifico dell’AISF.

«D’altro canto, l’epatocarcinoma compare sempre più anche in pazienti non cirrotici, provocando un mutamento totale del paradigma prognostico e diagnostico. Questo fenomeno avviene a causa dell’avanzamento della Metabolic associated fatty liver disease (MAFLD) e, più in dettaglio, della sua forma progressiva, la steatoepatite non alcolica, portatrice di fattori di rischio metabolici e genetici che si aggiungono a quelli classici e vedono la cirrosi equivalente ad una lesione precancerosa».

Alcune importanti novità terapeutiche

In alternativa a chirurgia e trapianto, nell’ultimo decennio il paziente con tumore del fegato poteva beneficiare di un solo farmaco, il Sorafenib, che determinava un significativo, seppur modesto, beneficio di sopravvivenza. Con l’avvento di nuovi farmaci antiproliferativi e di terapie biologiche come le immunoterapie, spesso utilizzati in combinazione, si apre una promettente prospettiva grazie ad una molteplicità di opzioni terapeutiche e trattamenti multipli che consente un significativo miglioramento nella sopravvivenza dei pazienti.

«Da una parte, si aprono nuove sfide per i clinici, che si devono confrontare con problematiche diagnostiche, gestionali, di stadiazione, che rendono fondamentale l’approccio multidisciplinare e una costante interazione con l’oncologo; dall’altra, nascono grandi opportunità per i pazienti», ha evidenziato Masarone.

Efficacia del trattamento in combinazione Atezolizumab e Bevacizumab

Tra le terapie innovative, il farmaco immunoterapico Atezolizumab, in combinazione con Bevacizumab, che fornisce – tra le terapie sistemiche – la più lunga sopravvivenza globale osservata in uno studio di fase III in prima linea nell’epatocarcinoma non operabile, e che diventerà, già nei prossimi mesi, anche nel nostro Paese, lo standard di cura.

I dati di efficacia di questa combinazione sono stati confermati dall’aggiornamento dello studio IMbrave 150, che ha infatti mostrato una sopravvivenza libera da progressione di malattia, nel gruppo trattato con la combinazione Atezolizumab più Bevacizumab, di 6,9 mesi, significativamente superiore a quella del gruppo trattato con Sorafenib, pari a 4,3 mesi; ancora più rilevanti i dati relativi alla sopravvivenza complessiva che è risultata essere di 19,2 mesi nel gruppo trattato con la combinazione dell’immunoterapico associato al Bevacizumab a fronte di 13,4 mesi nel gruppo trattato con Sorafenib.
I risultati aggiornati sono stati coerenti con quelli dell’analisi primaria e supportano l’uso della combinazione delle terapie.

Il 54° congresso e il position paper di AISF

Le novità relative all’epatocarcinoma sono al centro dell’attività di ricerca e aggiornamento dell’associazione italiana per lo studio del fegato – AISF, che ha proposto, già lo scorso 8 marzo, un evento per discutere le terapie sistemiche nell’epatocarcinoma. Inoltre, il prossimo mercoledì 23 marzo avrà luogo il pre meeting, in apertura del 54° Congresso Nazionale AISF, che si terrà a Roma nelle giornate successive del 24 e 25 marzo.

Un’occasione, questa, che coinvolgerà epatologi, chirurghi, radiologi ed oncologi coinvolti nella cura dei pazienti con epatocarcinoma per migliorare l’appropriatezza diagnostica e terapeutica di ciascuno specialista.
L’incontro rappresenterà inoltre l’occasione per discutere di nuovi criteri diagnostici, personalizzazione delle cure, medicina di precisione e di nuove strategie terapeutiche basate su farmaci innovativi, dedicando grande attenzione all’importanza di un approccio multidisciplinare.
Punto di partenza delle riflessioni sarà il position paper sulle terapie sistemiche dell’epatocarcinoma firmato dal Comitato Scientifico dell’AISF.

«Il documento fa il punto sulle ultime evidenze scientifiche sulle nuove terapie a bersaglio molecolare e sull’immunoterapia, attuale standard di cura per l’epatocarcinoma», ha sottolineato Giuseppe Cabibbo, membro del Comitato Scientifico di AISF.

«Il paper propone altresì un algoritmo di terapia di sequenza che possa essere seguito quando, dopo il fallimento di una prima terapia, è necessario passare alle successive linee di trattamento.
Tra gli aspetti più rilevanti, analisi accurate relative alla specificità dell’epatocarcinoma, che a differenza di altre neoplasie, insorge nella maggior parte dei casi come complicanza di una malattia cronica del fegato, quale è la cirrosi.

Questa particolare condizione implica la necessità di disegnare le future sperimentazioni cliniche dedicando attenzione alla funzione epatica.
Una delle ragioni dell’elevato numero di fallimenti che si è osservato in passato nello sviluppo di nuovi farmaci è infatti quello di avere poco considerato l’instabile equilibrio fra efficacia antitumorale ed effetto sulla funzione epatica.

In questo senso, pur nell’ambito di un necessario percorso multidisciplinare, appare chiaro il ruolo chiave che l’epatologo svolge dalla diagnosi, agli stadi precoci, fino a quelli avanzati, con una funzione di regista sia per i trattamenti chirurgici, che per quelli locoregionali e sistemici».

Elena D’Alessandri