Dolore cronico, Italia ultima in Europa per uso oppioidi

Ancora troppi timori ingiustificati sull’impiego dei farmaci oppioidi frenano una piena applicazione della legge 38/2010, che 12 anni fa ha sancito nel nostro Paese il diritto a non soffrire.

Fondazione ISAL, Istituto di Scienze Algologiche, ha acceso i riflettori sull’argomento riunendo a Roma i massimi esperti del settore in un convegno dal titolo emblematico “I farmaci umiliati: gli oppioidi e il riscatto della buona cura”, realizzato con il grant incondizionato di Gerot Lannach.

Secondo l’ultimo rapporto Osmed, nel 2021 gli oppioidi hanno fatto registrare in Italia 7,7 dosi giornaliere (DDD, Defined Daily Dose) per 1000 abitanti, rimanendo stabili rispetto all’anno precedente.

In altri Paesi europei come Germania e Austria, lo stesso indice supera le 20 DDD e, nonostante questo, non si sono verificati fenomeni di abuso o dipendenza.
I dati indicano in modo evidente che in Italia siamo ancora poco virtuosi nell’impiego di questa preziosa categoria terapeutica, che resta ampiamente sottoutilizzata.

Una delle principali ragioni di questa battuta d’arresto nell’applicare la legge è un eccessivo timore di abuso derivato da quanto è successo negli Usa.
Le notizie di cronaca hanno indotto un discredito generalizzato e indebito nei confronti dell’intera classe che è invece altamente efficace, insostituibile, e non così poco maneggevole se prescritta in modo attento, coscienzioso e corretto.

Armando Genazzani, direttore del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale, ha espresso il suo parere sul parallelismo tra il contesto sanitario statunitense e quello italiano, definendolo “inaccettabile” perché le due realtà sono profondamente diverse.

«Oltreoceano si è verificata in passato una situazione di eccessivo e incontrollato impiego di oppioidi, con dosaggi inappropriati e prescrizioni a categorie di pazienti fragili, che ha portato molte persone a sviluppare dipendenza.

In Italia assistiamo al problema diametralmente opposto: lo storico sottoutilizzo degli analgesici e la minore attenzione posta al dolore rispetto alla cura delle patologie sottostanti», ha spiegato Genazzani.

«Non dobbiamo permettere che quanto avvenuto negli Stati Uniti freni la necessaria crescita di un uso esperto e controllato dei farmaci oppioidi nel nostro Paese. Si tratta di medicinali essenziali ed efficaci, che diventano pericolosi solo in caso di uso inappropriato e abuso.

Occorre valutare sempre il rapporto rischio/beneficio: di fronte a un dolore di grado severo, il beneficio in termini di sollievo per il paziente dovrebbe prevalere rispetto al timore per un basso rischio di dipendenza che, utilizzando una prescrizione appropriata e un monitoraggio della cura periodico, diviene trascurabile», ha aggiunto.

Va detto che oggi il fenomeno della dipendenza da oppioidi e delle morti da overdose negli Usa non è più imputabile alle prescrizioni di antidolorifici.
Negli ultimi 10 anni si sono dimezzate, passando da 255 milioni nel 2012 a 143 milioni nel 2021, mentre le morti per overdose sono addirittura cresciute, dalle 41.000 del 2012 alle 94.000 del 2021. Ci sono quindi ben altri fattori in gioco.

Tutti gli esperti hanno concordato nella necessità di favorire, senza pregiudizi, l’uso appropriato dei farmaci oppioidi, strumenti terapeutici d’elezione per il trattamento delle patologie dolorose, e di proporre azioni concrete da attuare con rapidità per migliorare la gestione del problema, a beneficio della qualità di vita di tanti pazienti, in primo luogo quelli affetti da dolore cronico.

È importante potenziare la formazione ECM per approfondire le conoscenze sulle indicazioni terapeutiche delle ormai numerose molecole a disposizione, sul tempo d’insorgenza di azione di ognuna e sulla durata dell’effetto, variabili, sulla gestione degli effetti indesiderati (che in molti casi scompaiono dopo pochi giorni di terapia) e sulla necessità di sospendere sempre il trattamento in modo graduale, quando occorre, così come già si è abituati a fare per altri classe terapeutiche, come i farmaci steroidei. Serve, inoltre, ripristinare il monitoraggio sull’applicazione della legge 38/2010.

Il farmacista ospedaliero può offrire un contributo fondamentale sia nel segnalare ai medici eventuali situazioni di necessità che potrebbero essere sfuggite loro, sia nel trasmettere conoscenze specifiche sulla farmacologia e sulla gestione pratica di questa categoria di farmaci, che non è così critica come ancora in molto pensano.

Elena Mattioli