Diagnosi di fibrosi polmonare: eseguita la prima PET con FAPI

Silvia Bosello, ricercatore di Reumatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico presso la UOC di Reumatologia e Immunologia Clinica di FPG e Maria Antonietta D’Agostino, ordinario di reumatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Reumatologia e Immunologia Clinica di FPG

I centri di Reumatologia e Radiodiagnostica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs hanno individuato un nuovo radiofarmaco diagnostico per la PET costituito dalla molecola FAPI (Fibroblast Activation Protein Inhibitor).

Il farmaco è un’importante novità in ambito diagnostico, poiché sarebbe in grado di fornire informazioni avanzate sul coinvolgimento polmonare fibrosante in corso di malattie autoimmuni reumatologiche, in primis nella sclerodermia (il polmone è interessato nell’80-90% dei casi), consentendo di valutare gravità e fase della malattia (precoce o avanzata). Questo, associato alla ricerca di possibili biomarcatori di diagnosi nel siero e nel liquido di lavaggio bronco-alveolare dei pazienti, potrebbe avere importanti ricadute sulla loro gestione clinica, soprattutto grazie ai farmaci antifibrosanti già disponibili e a quelli di nuova generazione, di prossimo arrivo.

La ricerca s’inserisce in un progetto PNRR 2023 del Ministero della Salute coordinato da Silvia Bosello, ricercatrice di Reumatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico presso la UOC di Reumatologia e Immunologia Clinica dell’Irccs romano, in collaborazione con Lucia Leccisotti, ricercatore di Medicina Nucleare, afferente alla UOC diretta dalla prof.ssa Maria Lucia Calcagni e con Salvatore Annunziata, dirigente medico di Medicina Nucleare e responsabile della facility di Radiofarmacia, afferente al Bioimaging Advanced Center diretto dalla prof.ssa Evis Sala, ordinaria di Radiologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttrice del Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia. 

Il progetto ha coinvolto anche altri due centri reumatologici italiani per il reclutamento dei pazienti e l’invio di campioni biologici: quello dell’Università di Cagliari, diretto da Alberto Cauli, e quello dell’Università Vanvitelli di Napoli, diretto da Francesco Ciccia, con la partecipazione di Vasiliki Liakouli.

«Il nostro studio – spiega Bosello- prevede una prima parte in cui verrà ricercata la presenza di biomarcatori nel siero e nel liquido di lavaggio bronco-alveolare, indicativi di interessamento polmonare, nei pazienti con malattie autoimmuni reumatologiche, note per dare coinvolgimento polmonare di tipo fibrosante.
Nella seconda parte del progetto, alcuni di questi pazienti saranno sottoposti a PET/TAC con il radiofarmaco FAPI, marcato con fluoro ([18F]FAPI), usato per la prima volta in Italia per questa indicazione proprio al Gemelli, qualche giorno fa».

Bosello ha poi spiegato che FAPI si lega ai fibroblasti (cellule protagoniste della fibrosi) e che potrebbe contribuire a distinguere tra fibrosi in fase attiva, in fieri, e fibrosi stabilizzata, cioè cicatriziale.
Inoltre, ha aggiunto che differenziare i pazienti reumatologici nei vari stadi di malattia aiuta a stratificarli per identificare quelli che potranno beneficiare di terapia antifibrotica precoce, quando il danno cicatriziale polmonare non sia ancora consolidato, con la speranza di far regredire le alterazioni fibrosanti, rispetto ai pazienti con fase di malattia più avanzata e per i quali tali terapie possono solo aiutare a stabilizzare l’entità del danno.

«La PET/TAC con FAPI – ha aggiunto Bosello – permette di identificare con precisione le aree con attivazione dei fibroblasti, cellule implicate nel processo fibrotico, e in quale fase di attivazione si trovino.
Lo scopo della ricerca è cercare di correlare le alterazioni, visualizzate con il [18F]FAPI, con la presenza di eventuali biomarcatori di attività di malattia polmonare, che andremo a cercare nel siero e nel liquido di lavaggio bronco-alveolare.

I pazienti saranno seguiti per 12 mesi, durante i quali ne valuteremo la risposta alle terapie, sulla base dell’imaging e dei biomarcatori sierici e polmonari, oggetto della ricerca. Inoltre, cercheremo di capire se la PET/TAC con FAPI può fornire anche indicazione prognostica sull’evoluzione della malattia e fungere da guida alla terapia, indicandoci quali pazienti mettere precocemente in trattamento con i nuovi farmaci antifibrotici (nintedanib e, in futuro, nerandomilast) e quale sia il timing migliore per iniziare queste terapie».

«Nell’ambito delle malattie reumatologiche, il coinvolgimento polmonare rappresenta una delle manifestazioni extra-articolari più impegnative – ha spiegato Maria Antonietta D’Agostino, ordinario di Reumatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttrice della UOC di Reumatologia e Immunologia Clinica del Gemelli.
Il polmone è un organo target della sclerodermia, ma anche delle dermatomiositi e dell’artrite reumatoide. È importante, dunque, individuare biomarcatori di diagnosi precoce del coinvolgimento polmonare e di evoluzione verso uno stadio grave di malattia. Il FAPI, marcando la proteina di attivazione dei fibroblasti, è un promettente biomarcatore per valutare l’entità di coinvolgimento fibrotico».

La fibrosi polmonare è una condizione che riguarda molte malattie autoimmuni. I pazienti interessati dalla fibrosi polmonare, possono andare incontro a complicanze come l’ipertensione polmonare, con gravi ripercussioni sulla salute del cuore e a insufficienza respiratoria progressiva, con difficoltà crescente degli scambi gassosi e necessità di ossigeno-terapia.
L’insufficienza respiratoria da fibrosi polmonare rappresenta la principale causa di morbilità e mortalità di tanti pazienti con malattie reumatologiche, dalla sclerodermia, alle artriti reumatoidi, dalle connettiviti, alle vasculiti.

Il FAPI viene attualmente utilizzato anche nello studio delle patologie oncologiche, per valutare il coinvolgimento dei fibroblasti del microambiente tumorale e la loro influenza sulla risposta alle varie terapie.

«L’interesse del FAPI nello studio delle malattie autoimmuni – ha ricordato D’Agostino – è stato all’inizio aneddotico; poi ci si è resi conto che studiare l’entità di captazione da parte dei fibroblasti può darci informazioni importanti sull’attività della malattia o sulla cicatrizzazione, quindi sulla prognosi di severità strutturale».

«Finora, tuttavia, in Italia il FAPI non era mai stato utilizzato con questa indicazione. Ancora una volta, dunque, il Policlinico Gemelli fa da apripista rispetto agli avanzamenti della ricerca, in questo caso diagnostici, grazie anche alla collaborazione con persone illuminate come la professoressa Evis Sala, che coordina un dipartimento innovatore in tutte le tecniche di imaging».

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