Depressione resistente, importante agire con tempestività

Nel mondo il disturbo depressivo maggiore è la principale causa di disabilità. Per ridurre i sintomi e la durata della malattia è necessario un trattamento antidepressivo, che include farmaci, psicoterapia, terapia elettroconvulsivante.
Il problema è che, anche dopo vari mesi, alcuni pazienti non ottengono una remissione, continuando a manifestare una sintomatologia residua.

Per analizzare la questione un gruppo di ricercatori svedesi, finlandesi, australiani ha condotto uno studio osservazionale basato sui dati della Stockholm Major Depressive Disorder Cohort e pubblicato su Jama Psychiatry.

Un più alto rischio di morte

Tra il 1° gennaio 2012 e il 31 dicembre 2017 gli studiosi hanno identificato 145.577 pazienti (64,7% di donne e 35,3% di uomini, con un’età media di 43 anni), per un totale di 158.169 episodi di depressione unipolare. Di questi assistiti, 12.765 hanno manifestato 12.793 (11%) episodi resistenti al trattamento, che non hanno cioè ottenuto benefici dopo tre o più terapie consecutive.
Il tempo mediano intercorso tra l’inizio del primo episodio depressivo e la resistenza al trattamento è stato di 552 giorni. In tutte le fasi della terapia, la classe di farmaci più comunemente prescritta è stata quella degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.

Nel periodo di analisi, i pazienti con depressione resistente sono andati incontro, rispetto a quelli con depressione non resistente, a più giorni di degenza ospedaliera (3,9 contro 1,3) e a più giornate lavorative perse (132,3 contro 58,7), contribuendo al rilevante onere economico e sociale della malattia.
Hanno, inoltre, manifestato più di frequente ansia, stress, disturbi del sonno, abuso di sostanze, mentre l’autolesionismo è stato quattro volte più comune. Il tasso di mortalità è stato superiore del 23%.

La malattia grave può diventare resistente

I ricercatori hanno evidenziato due ulteriori elementi. Il primo elemento è che il fattore prognostico più importante per l’insorgenza di resistenza è stato la gravità della depressione alla diagnosi, definita tramite la Montgomery-Asberg Depression Rating Scale, una scala in dieci item utilizzata per valutare l’entità dei disturbi dell’umore, della concentrazione, dello stato fisico, del sonno associati alla condizione depressiva.
Il secondo elemento è che il tempo mediano tra il primo trattamento e il secondo è stato di 165 giorni e quello tra il secondo e il terzo di 197, intervalli più lunghi di quelli raccomandati dalle linee guida.

«Questi elementi potrebbero aiutare i medici a identificare già alla diagnosi i pazienti che necessitano di un follow-up precoce e intensivo», dichiara Johan Lundberg, ricercatore del Centro per la ricerca in psichiatria del dipartimento di Neuroscienze cliniche del Karolinska Institutet, in Svezia, «in modo da poter intervenire tempestivamente per adeguare il trattamento».

Paola Arosio