Depressione farmaco-resistente e sostanze psichedeliche

Tristezza, irritabilità, senso di vuoto, distacco dalle attività considerate piacevoli fino a poco tempo prima, difficoltà di concentrazione, perdita di speranza nel futuro, cambiamenti nel peso e nell’appetito e diffuso senso di stanchezza. Sono i sintomi che caratterizzano la depressione, una tra le patologie mentali più diffuse a livello mondiale.
Per avere una diagnosi di depressione è sufficiente che siano presenti solo alcuni di questi sintomi: più sono e più la depressione viene definita severa.

L’OMS stima in circa 280 milioni le persone depresse, equivalenti a circa il 3,8% della popolazione generale e al 5% dei giovani adulti. Alta la percentuale anche tra gli anziani, pari a circa il 5,7%.
La depressione maggiore può portare al suicidio, anche se curata, perché non sempre i trattamenti farmacologici vanno a buon fine (risulta che agiscano solo nei 2/3 dei casi).

Todd Gould, neuroscienziato dell’Università del Maryland, sottolinea però che anche nei soggetti nei quali le medicine funzionano, possono passare anche due mesi prima di vedere qualche cambiamento reale.

I target utilizzati per la realizzazione di farmaci antidepressivi sono gli stessi dagli anni ’80 del ‘900. Da tempo è aperta la discussione tra neuropsichiatri e psichiatri rispetto al ruolo che le sostanze allucinogene potrebbero avere su questa patologia.

La discussione è continuata e nel 2022 sono stati presentati in letteratura studi sulla psilocibina, triptammina psichedelica.
Uno di questi ha arruolato 233 pazienti resistenti alle altre terapie e li ha randomizzati, per assumere 25 mg al giorno di psilocibina, oppure 10 mg o 1 mg al giorno come placebo.

I primi risultati si sono visti già dopo tre settimane, con riduzione dei sintomi nel gruppo di studio. Dopo tre mesi di trattamento, il 20,3% dei soggetti trattati con 25 mg al giorno erano in remissione, mentre negli altri gruppi la percentuale era intorno al 10%.
Altri studi, d’altra parte, hanno confrontato gli effetti della psilobicina con quelli di un comune antidepressivo, faticando a trovare effetti davvero positivi. Gli esperti sono quindi ancora incerti e il dibattito è aperto.
Si sottolinea, per esempio, che è impossibile condurre uno studio in cieco con sostanze psichedeliche, perché i loro effetti da soli rivelano a quale gruppo si è stati assegnati.

Inoltre, di solito quando si utilizzano queste sostanze, il medico deve essere informato per poter supportare il “viaggio” del paziente. Anche il loro meccanismo d’azione non è ancora chiaro: c’è chi pensa che tali sostanze possa riattivare la capacità del cervello di evolvere e mutare. Tuttavia non c’è chiarezza.
Quel che è certo è che per anni, almeno negli Stati Uniti, si è utilizzata la chetamina su questi pazienti, sempre prescrivendola per vie nascoste: nonostante i suoi effetti sulla depressione, questo anestetico non è mai stato approvato per l’uso sugli stati di umore alterati.

Discussioni a parte, il problema sussiste: come aiutare i pazienti depressi che non rispondono ai farmaci noti per curare questo disturbo? Si attendono nuove risposte dalla ricerca farmacologica.

Stefania Somaré