Dapagliflozin, il Monzino avvia uno studio clinico

Circa il 2% della popolazione italiana soffre di scompenso cardiaco, percentuale che soffre però del fatto che questa patologia non è distribuita uniformemente tra la popolazione e si presenta soprattutto negli anziani. Tra gli over 85 ben il 15% di entrambi i sessi soffre infatti di scompenso cardiaco.
A seconda della gravità della condizione del paziente, si può intervenire con una terapia farmacologica o in modo interventistico.

Tra i farmaci più innovativi oggi approvati per l’uso in persone con scompenso cardiaco c’è il dapagliflozin, appartenente alla classe degli inibitori dei trasportatori sodio-glucosio tipo 2.

Da poco entrati nella pratica clinica, questa classe di farmaci è ancora sotto la lente dei ricercatori per comprenderne meglio i potenziali benefici per i pazienti e i meccanismi d’azione. Non a caso il Centro Cardiologico Monzino di Milano, primo prescrittore in Italia per il dapagliflozin, sta avviando un nuovo studio sul farmaco.

Spiega il dott. Massimo Mapelli, del Dipartimento di Cardiologia Critica e Riabilitativa, coordinatore dello studio: «la classe farmacologica degli SGLT2-i rappresenta un bell’esempio di serendipity, ovvero di scoperta casuale di un beneficio inatteso di un farmaco che prima veniva usato per tutt’altro.
In questo caso il farmaco era, e rimane, un farmaco antidiabetico che però si è visto funzionare altrettanto bene, se non meglio, in pazienti con lo scompenso cardiaco senza diabete mellito II.

Di conseguenza negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, il farmaco è passato dalle mani dei diabetologi anche a quelle dei cardiologi.
Al Monzino abbiamo prescritto dapagliflozin a 150 pazienti con scompenso cardiaco in 3 mesi, indipendentemente dal diabete, e abbiamo redatto il primo piano terapeutico in Lombardia».

Massimo Mapelli

Lo studio intende arruolare almeno 70 persone da sottoporre a una valutazione multidisciplinare completa, composta di esami ematochimici, ricerca di biomarkers di nuova generazione, test da sforzo cardiopolmonare, prove di funzionalità respiratoria, analisi del sonno con le apnee notturne ed ecocardiogramma 3D.

Grazie agli esiti di questi esami si potrà conoscere meglio questo farmaco. Stando ad alcune stime sembra che l’uso di questo farmaco, soprattutto se iniziato nelle prime fasi della malattia, permetta di ridurre la mortalità del 61%.

Conclude il dott. Mapelli: «stiamo scoprendo che questi nuovi farmaci hanno potenzialità terapeutiche inaspettate. Per esempio, sono diuretici intelligenti che, oltre a migliorare la prognosi dello scompenso, rallentano la progressione dell’insufficienza renale e permettono di risparmiare dosaggi dei diuretici tradizionali, a patto che vengano iniziati per tempo. Cambia dunque il paradigma con cui trattiamo questi malati.

Per esempio, spesso dobbiamo incentivare l’assunzione di liquidi, contrariamente alla terapia dello scompenso anni ’80 in cui si raccomandava al paziente di bere pochissimo per evitare sovraccarico idrico. Da questo studio su dapagliflozin, ci aspettiamo nuove prospettive di applicazione e soprattutto speranze concrete per i nostri pazienti».

Stefania Somaré