Farmaci biologici, quasi 130 mila pazienti in condizioni di sotto-trattamento

Nell’ambito del convegno “Accesso ai farmaci biologici: dal sotto-trattamento al gain sharing”, organizzato a Roma dall’Italian Biosimilars Group di Eguaglia, è emerso che circa 130 mila pazienti affetti da patologie autoimmuni afferenti alle aree della reumatologia, della gastroenterologia e della dermatologia non accedono alle cure biologiche anche se eleggibili per condizione clinica.

Una proposta è quella del gain sharing, ma a frenare sono modelli organizzativi arcaici e tetti di spesa.

Le analisi di CliCon – Health, Economics & Outcome Research, società di ricerca guidata dall’economista Luca Degli Esposti, che ne ha presentato i risultati, sono state il punto di partenza per la discussione.

L’area dermatologica

L’analisi è stata condotta su un campione rappresentativo della popolazione, distribuito geograficamente, corrispondente a circa l’11% della popolazione nazionale. La prima area presentata è stata quella dermatologica. Si è partiti considerando tre criteri di inclusione dei pazienti: pazienti che avessero una prescrizione di antipsoriasici; esenzione per psoriasi; dimissione ospedaliera per psoriasi.

La prevalenza ha evidenziato un 2% sulla popolazione complessiva e un 2,4% sulla popolazione maggiorenne. I criteri di eleggibilità al farmaco biologico sono stati 2: fallimento al trattamento sistemico convenzionale; pazienti con insorgenza di artrite psoriasica.

A fronte di 1,4 milioni di pazienti, il 95% riceve ad oggi un trattamento convenzionale a base di metotrexate o altri farmaci anti-psoriasici, mentre 56mila soggetti, pari al 3,9%, vengono già trattati con farmaci biologici.

Esistono tuttavia, sulla base dei criteri proposti, altri 53mila pazienti eleggibili al trattamento con farmaci biologici che non riceve questo tipo di cura. L’analisi sottolinea peraltro che i pazienti con psoriasi o artrite psoriasica eleggibili presentano fino a 6 comorbidità.

L’area gastroenterologica

Allo stesso modo si è proceduto per quel che riguarda i pazienti dell’area gastroenterologica, identificati mediante la presenza di malattia cronica infiammatoria (MICI); ospedalizzazione o codice di esenzione per una malattia cronica infiammatoria. Sono state nello specifico considerate il morbo di Chron e la colite ulcerosa.

La prevalenza emersa è stata dello 0,4% sulla popolazione complessiva.
I pazienti eleggibili al trattamento sono stati quelli con: malattia attiva steroidea-refrattaria; pazienti steroidei-dipendenti; pazienti che presentano intolleranza o controindicazioni alle terapie convenzionali; pazienti con malattia severa e recidiva o pazienti con malattia estesa altamente attiva e scarsa prognosi.

A fronte di quasi 237mila pazienti, quelli trattati rappresentano il 68% (161mila); di questi quelli in trattamento con biologico sono l’11,7%, pari a 27,6mila. Tuttavia, complessivamente 67,6mila pazienti rispettano i criteri di eleggibilità ai farmaci biologici.

L’area reumatologica

Infine, la terza area indagata – ovvero la prima in termini temporali, nel 2017 – è stata l’area dermatologica, sulla base dei criteri adottati per le altre aree terapeutiche. I pazienti identificati sono stati quelli che presentavano esenzione per artrite reumatoide o un’ospedalizzazione per la stessa patologia. La stima di prevalenza della patologia, nell’anno in esame, si è attestata allo 0,52% sull’intera popolazione.

I pazienti eleggibili al trattamento con farmaci biologici sono stati individuati come: quelli a fallimento terapeutico con metatrexate; quelli che assumono corticosteroidi a dosaggio elevato per mesi; quelli che presentano controindicazioni al metatrexate. A fronte di 318 mila diagnosi, i pazienti trattati con biologico sono risultati essere 43nmila; quasi 27 mila ulteriori eleggibili al trattamento con biologico.

Alcune riflessioni

Fattore comune alle tre aree di analisi è dunque l’evidenza del fatto che esiste una platea di pazienti numericamente significativa che non accede o accede con grave ritardo ad una categoria di medicinali capaci di rallentare o modificare l’evoluzione della malattia, garantendo una migliore qualità di vita e riducendo anche le ricadute economiche sul sistema sanitario nazionale.

«Peraltro l’analisi», ha sottolineato Luca degli Esposti, «ha rivelato costi sostanzialmente sovrapponibili tra pazienti che fanno uso di farmaci biologici e pazienti eleggibili che non possono accedere. Difatti la variazione dei costi è attribuibile a una diversa composizione degli stessi: ad una maggiore spesa farmaceutica per i pazienti in trattamento con farmaci biologici si contrappone una maggiore spesa per ricoveri e prestazioni specialistiche nei pazienti che, pur eleggibili, non ne fanno uso».

Il gain sharing

Alla luce di questa situazione, è stato pensato un nuovo strumento che potrebbe garantire risultati migliori a parità di spesa: il gain sharing. Il sistema prevede tre indicatori e tre step: aumentare l’uso dei biosimilari generando risparmio; mantenere il risparmio all’interno del medesimo dipartimento così da poter quindi reinvestire in sotto-trattamento e innovazione.

«In tutte le aree terapeutiche interessate i biosimilari hanno garantito l’accesso al trattamento a un numero crescente di pazienti. Stando ai dati, è tuttavia emerso con chiarezza che questo non è sufficiente», ha commentato Stefano Collatina, coordinatore dell’Italian Biosimilars Group di EGUALIA, che ha commissionato gli studi.

«Il nostro obiettivo è quello di condividere i risultati ottenuti per far sì che questo strumento possa essere adottato a livello nazionale a beneficio di tutti i pazienti oggi non coinvolti nelle cure. Proprio per questa ragione Ministero della Salute e Agenas dovrebbero promuovere un monitoraggio del fenomeno con le regioni perché il modello del gain sharing possa diventare una risposta concreta ai pazienti, almeno nelle aree terapeutiche finora indagate».

Il freno di modelli organizzativi arcaici e tetti di spesa

«Il problema del sotto-trattamento non è solo questione di farmaco ma di modelli organizzativi», ha sottolineato Antonio Gaudioso, capo della Segreteria Tecnica del Ministero della Salute.

«Proprio per questo occorre creare al più presto un sistema in grado di garantire prossimità e continuità terapeutica. E prima di tutto va cambiato il modello regolatorio: i LEA difatti pagano le singole prestazioni e non i percorsi diagnostico terapeutico assistenziali».

«Un altro grave freno al sistema è imposto dai tetti di spesa», ha ricordato Letizia Moratti, vicepresidente e assessore al Welfare di Regione Lombardia. «Il prezzo dei biosimilari rappresenta una leva importante e altrettanto lo è reinvestire il risparmio prodotto allargando la platea di pazienti.

D’altro canto, lo sforamento degli acquisti diretti è stato del 7,9% a fronte di una convenzionata nei range. Se potrà essere superata la logica dei tetti, allora anche i farmaci biologici potranno diffondersi più facilmente, diversamente si potrebbe pensare di passare parte dello sforamento sugli acquisti diretti alla convenzionata così da estendere la platea di pazienti trattabili con biologici».

«I dati presentati oggi confermano e stressano il problema del sotto-trattamento. Occorre trovare soluzioni nuove per consentire l’accesso a questa categoria di farmaci a quanti ne hanno bisogno. L’obiettivo fondamentale è utilizzare i biosimilari per ampliare la platea.

Quanto ai tetti di spesa, essi rappresentano un modello anacronistico non settato su problemi reali ma legato alla spesa corrente. Il problema è di carattere organizzativo-gestionale per cui modelli arcaici ritardano l’accesso ai farmaci innovativi ben più dei prezzi», ha concluso Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria e Microeconomia dell’Università di Roma Tor Vergata e presidente SITHA.

Elena D’Alessandri