Cirrosi, primi risultati del trapianto di microbiota fecale

I pazienti affetti da cirrosi possiedono una ridotta diversità batterica intestinale, con un’abbondanza di patogeni. Questo squilibrio, associato a una barriera dell’intestino compromessa, consente ai batteri nocivi di traslocare in altre zone dell’organismo, aumentando il rischio di infezioni e mortalità.

In tali casi, viene spesso prescritta una terapia antibiotica, il cui uso contribuisce, però, ad alimentare la resistenza antimicrobica, un fenomeno globale sempre più preoccupante.

Lo studio pilota

Per cercare strategie alternative, i ricercatori del King’s College di Londra hanno condotto uno studio pilota, chiamato Profit, presentato al congresso dell’European association for the study of the liver (Easl), che si è svolto a Vienna dal 21 al 24 giugno 2023.

Gli scienziati hanno arruolato 32 pazienti con cirrosi avanzata, ma stabile, con punteggio di Model of end-stage liver disease (Meld) compreso tra 10 e 16. Li hanno, quindi, suddivisi in due gruppi: 22 hanno ricevuto un trapianto nel digiuno, tramite endoscopia, di microbiota fecale liquido congelato, precedentemente prelevato da persone sane, 10 hanno, invece, ricevuto il placebo.

Migliora la barriera intestinale

Per valutare gli esiti, gli esperti hanno raccolto sangue e feci degli assistiti alla visita iniziale e a 7, 30, 90 giorni dal trapianto o dal placebo.
Hanno così potuto constatare che dopo il trapianto, a differenza di quanto avvenuto dopo il placebo, il microbiota intestinale si è modificato, potenziando la funzione di barriera dell’intestino e l’immunità antimicrobica della mucosa. Gli enzimi per l’assimilazione e l’escrezione dell’azoto attraverso il ciclo dell’urea sono migliorati, con una maggiore secrezione di ippurato urinario a 30 giorni rispetto al placebo.

Il trapianto ha anche incrementato il metabolismo dell’ammoniaca, con conseguente riduzione a 30 giorni dell’ammoniaca plasmatica rispetto al placebo. Per contro, l’ammoniaca fecale era più elevata, a 30 e 90 giorni, con il trapianto rispetto al placebo.

Gli effetti del trattamento sono diminuiti dopo 90 giorni, il che suggerisce la possibilità di dover trattare nuovamente gli assistiti una volta trascorso tale periodo.

Il parere degli specialisti

«I risultati ottenuti, seppur iniziali, sono promettenti per i pazienti con malattia epatica cronica che necessitano di opzioni terapeutiche alternative», ha commentato Debbie L. Shawcross, responsabile dello studio e professore di Epatologia e insufficienza epatica cronica al King’s College di Londra.

«Questo studio conferma la correlazione tra salute dell’intestino e malattie epatiche», ha aggiunto Thomas Berg, segretario generale di Easl e capo della divisione di Epatologia dell’Università di Lipsia, in Germania. «Inoltre, suggerisce che la modulazione del microbioma possa avere un enorme potenziale e possa essere la chiave per la comprensione scientifica del fegato negli anni a venire».

Aleksander Krag, professore di Epatologia all’Odense University Hospital, in Danimarca, ha dichiarato di non essere «sorpreso dal fatto che il trapianto di microbiota nell’intestino possa avere un impatto sul fegato. Se l’intestino invia segnali negativi al fegato, la cirrosi progredirà. Se si riesce, però, a modificare l’ambiente intestinale, si potrebbe riuscire a rimuovere alcuni driver della progressione della patologia».

Prospettive future

Come prossimo passo, i ricercatori del King’s College realizzeranno apposite capsule fecali che i pazienti potranno ingerire per via orale come un farmaco, eliminando così la necessità del trapianto endoscopico. Proprio tali capsule verranno utilizzate durante lo studio Promise, randomizzato, multicentrico, controllato con placebo, che verrà condotto su circa 300 pazienti monitorati per due anni.

Parallelamente, gli specialisti stanno lavorando con il British Liver Trust, con il Policy Institute del King’s College e con altri enti e associazioni per integrare il nuovo trattamento nelle linee guida.