ASH, nuovi studi in Ematologia

Anche in Ematologia la ricerca sta facendo grandi passi avanti, per offrire ai pazienti terapie sempre più sicure ed efficaci. Lo dimostrano i numerosi studi presentati durante l’ultimo congresso dell’American Society of Hematology, giunto alla 63ᵃ edizione. Ecco alcuni dei principali.

Isatuximab contro il mieloma multiplo

Lo studio di fase 3, realizzato dai ricercatori del Heidelberg University Hospital e del National Center of Tumor Diseases, in Germania, ha coinvolto 662 pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi e idonei al trapianto in 67 centri.

La sperimentazione ha evidenziato che coloro che hanno ricevuto l’anticorpo monoclonale isatuximab in aggiunta alla terapia standard composta da lenalidomide, bortezomib e desametasone avevano una probabilità maggiore di ottenere una negatività minima di malattia residua (nessuna evidenza di cancro nel midollo osseo) rispetto a quelli a cui era stato somministrato solo il trattamento tradizionale. Gli eventi avversi più comuni in entrambi i gruppi sono stati disturbi del sangue, del sistema linfatico e del sistema nervoso.

Mosunetuzumab per il linfoma follicolare

In uno studio di fase 1-2 a braccio singolo, condotto dai ricercatori del City of Hope Comprehensive Cancer Center in California su 90 pazienti con linfoma follicolare recidivante o refrattario, già sottoposti ad almeno due linee terapeutiche precedenti, il farmaco sperimentale mosunetuzumab, un anticorpo bispecifico somministrato per via endovenosa, si è rivelato ben tollerato ed efficace. In particolare, l’80% degli assistiti ha risposto al trattamento e il 60% ha ottenuto una risposta completa.

Lisocabtagene maraleucel contro il linfoma a grandi cellule B

Uno studio di fase 3 è stato realizzato dai ricercatori del University of Colorado Cancer Center su 184 pazienti con linfoma a grandi cellule B recidivante o refrattario dopo il trattamento con chemioterapia in prima linea. La sperimentazione ha confrontato la terapia CAR-T lisocabtagene maraleucel (liso-cel) con l’attuale standard di cura, che consiste in chemioterapia e trapianto di cellule staminali autologhe.

Gli assistiti che hanno ricevuto il nuovo trattamento sono sopravvissuti 10,1 mesi, quelli che hanno ricevuto la terapia tradizionale 2,3 mesi. Inoltre, una risposta completa al trattamento si è verificata nel 66% di coloro che hanno ricevuto liso-cel e solo nel 39% di quelli che hanno ricevuto cure standard.

Benefici duraturi di axicabtagene ciloleucel nel linfoma a grandi cellule B

La CAR-T axicabtagene ciloleucel (axi-cel) è attualmente approvata dalla FDA come terapia di terza linea per il linfoma a grandi cellule B. Lo studio di fase 3 Zuma-7, condotto dai ricercatori del Moffitt Cancer Center di Tampa, in Florida, su 359 pazienti, ne ha valutato l’uso in seconda linea.

Dopo due anni di follow-up, il 41% di coloro che hanno ricevuto axi-cel e il 16% di quelli che hanno ricevuto le terapie standard sono sopravvissuti per due anni senza bisogno di ulteriori cure o senza una progressione della malattia.

Polatuzumab vedotin nel linfoma a grandi cellule B

Lo studio di fase 3 Polarix ha messo a confronto, in pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B precedentemente non trattati, polatuzumab vedotin in combinazione con rituximab più ciclofosfamide, doxorubicina, prednisone (R-Chp) e l’attuale standard di cura, che prevede rituximab più ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone (R-Chop).

I risultati, pubblicati sul New York Journal of Medicine, hanno dimostrato che il nuovo farmaco, in combinazione con il regime chemioterapico R-Chp, ha apportato un beneficio addizionale rispetto all’attuale standard terapeutico riducendo il rischio di progressione della patologia o di morte del 27%.

Anche emofilia A

Oncologia, quindi, ma non solo. I dati dell’analisi ad interim dello studio di fase 3 Haven 6, che ha coinvolto 71 pazienti con emofilia A lieve o moderata senza inibitori del fattore VIII, indicano che emicizumab, un anticorpo bispecifico dei fattori IXa e X, ha un profilo di sicurezza favorevole e ha permesso di ottenere un controllo dei sanguinamenti.

In particolare, l’80,3% dei partecipanti alla ricerca non ha manifestato episodi di sanguinamento che hanno necessitato di trattamento e il 90,1% non ha avuto sanguinamenti articolari che hanno richiesto una terapia.

Paola Arosio