CT-P47 è il biosimilare dell’anticorpo monoclonale tocilizumab, efficace come farmaco di prima linea contro l’artrite reumatoide, anche in monoterapia.
In Italia soffrono di artrite reumatoide circa 400 mila pazienti, per lo più donne tra i 40 e i 60 anni d’età. Tra costi diretti e indiretti, la malattia costa annualmente al sistema Paese circa 2 miliardi di euro, parte dei quali a carico dei pazienti.
Il percorso terapeutico fa uso convenzionalmente del metotrexano, da solo o in associazione con l’anticorpo monoclonale tocilizumab. Quest’ultimo è inoltre efficace anche in monoterapia, andando a coprire i pazienti che si mostrano intolleranti al metotrexano o che non rispondono al trattamento.
Ora è disponibile un biosimilare per tocilizumab, CT-P47. Spiega Maurizio Rossini, professore di Reumatologia all’Università di Verona: «tocilizumab è una molecola importante che ha un suo preciso posizionamento nell’ambito della medicina personalizzata, perché è stato il primo farmaco che ha consentito di contrastare l’artrite reumatoide senza doverlo necessariamente associare al metotrexato.
La sua disponibilità come biosimilare contribuisce in modo importante alla sostenibilità della spesa farmaceutica e consente di ovviare ai problemi di approvvigionamento che si sono verificati in passato, oltre a rappresentare un’opportunità terapeutica in più specie in quelle regioni che dispongono l’uso del biosimilare come farmaco di prima scelta».
L’importanza di avere un biosimilare
Tocilizumab lavora direttamente sui recettori dell’interleuchina-6, inibendone l’attività infiammatoria. Esiste un’ampia esperienza clinica per questo anticorpo monoclonale che si dimostra sicuro sia a breve sia a lungo termine. La disponibilità di CT-P47 consentirebbe di ampliare la pletora di pazienti che possono beneficiare dell’attività della molecola. Tuttavia, le associazioni di pazienti hanno impiegato tempo ad accettare i biosimilari.
Ancora oggi è necessaria la corretta informazione al paziente prima di iniziare la terapia. Spiega Teresa Petrangolini, direttrice Patient Advocacy Lab di Altems dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: «nel paziente che viene sottoposto a cure con i biosimilari, sia esso naive o già in cura con altro farmaco biologico può a volte emergere il timore di essere trattato con un farmaco di “serie B” e quindi di essere sacrificato sull’altare di logiche di tipo economico.
È quindi di estrema importanza che, quando questo si verifica, il medico informi e tranquillizzi il paziente su efficacia, affidabilità e sicurezza della cura adottata, proprio in considerazione degli elevati standard qualitativi dei biosimilari che sono identici a quelli dei farmaci originali». È compito dello specialista creare una relazione di fiducia con i propri pazienti così da poterne redimere gli eventuali dubbi.
La parola all’APMARR
L’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR), dichiara la soddisfazione dell’associazione stessa: «la disponibilità di tocilizumab anche come biosimilare è un’opportunità terapeutica importante che consente di allargare la platea e il numero di persone eleggibili al trattamento, garantendo così un miglioramento nell’accesso al farmaco.
Grazie ai progressi compiuti negli ultimi venti anni dalla ricerca scientifica in reumatologia, l’armamentario terapeutico a disposizione dei reumatologi si è progressivamente arricchito di farmaci sempre più innovativi per il trattamento delle artriti infiammatorie croniche».
Se non ben curate, queste forme croniche possono portare grande disabilità ai pazienti, vessati da dolori articolari e rigidità mattutina, ma anche da stanchezza persistente.