Anemia falciforme, trattamento mirato per prevenire crisi vaso-occlusive ricorrenti

È arrivata anche in Italia la prima terapia mirata per la prevenzione delle crisi vaso-occlusive ricorrenti nell’anemia falciforme. AIFA ha approvato la rimborsabilità di crizanlizumab (Adakveo di Novartis), cui ha riconosciuto il requisito dell’innovatività condizionata, per pazienti di età pari o superiore ai 16 anni affetti da anemia falciforme che abbiano presentato almeno due crisi vaso-occlusive nei 12 mesi precedenti.

L’anemia falciforme è una malattia rara tipica del bacino del Mediterraneo, proprio come la talassemia. Entrambe fanno parte del gruppo delle emoglobinopatie, malattie del sangue ereditarie. Si tratta di una patologia cronica, permanente e debilitante, di gravità clinica variabile, caratterizzata dall’alterazione della forma e delle proprietà fisiche dei globuli rossi e da una maggior adesività delle diverse cellule ematiche rispetto al solito.

Questo elemento, unitamente ad altri, determina un intrappolamento dei globuli rossi nel microcircolo con crisi vaso-occlusive imprevedibili, di carattere ischemico, fortemente impattanti sulla vita del paziente. Le stesse – talvolta di carattere mortale – producono danni d’organo irreversibili, con progressiva perdita di funzione.

Anemia falciforme e crisi vaso-occlusive

«L’anemia falciforme è una malattia congenita, monogenica, la più frequente al mondo, con una stima di: circa 50 mila pazienti in Europa, di cui tra i 2.300 e 2.800 in Italia. Dati questi ultimi presunti, trattandosi di una malattia rara rispetto alla quale non esistono registri di patologia e, tra l’altro, potrebbe esistere un importante sommerso», ha sostenuto Lucia De Franceschi, professore associato di Medicina Interna all’Università degli Studi di Verona, in occasione della Conferenza stampa di presentazione del crizanlizumab tenutasi lo scorso 19 gennaio.

Impatto della patologia sulla qualità di vita, gli studi SWAY e SCAN

Le crisi vaso-occlusive, considerata la loro rapida evoluzione e alta mortalità, rappresentano eventi gravi, imprevedibili, potenziali cause di vere emergenze sanitarie.

«I pazienti con anemia falciforme si portano avanti la malattia per tutta la vita, con un impatto determinante sulla qualità della stessa, oltre che sulla sua durata che a oggi si attesta intorno a 50-60 anni. Secondo quanto evidenziato dalla ricerca internazionale SWAY – Sickle Cell World Assessment Survey – che ha coinvolto 16 Paesi, il 91% dei pazienti riferisce almeno una crisi vaso-occlusiva nei 12 mesi antecedenti all’indagine, con una media di 5-6 l’anno», ha evidenziato Raffaella Colombatti, della Clinica Oncoematologica del Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera di Padova.

Un progetto di medicina narrativa promosso da Novartis, SCAN – Sickle Cell Anemia Narration – ha inoltre messo in luce le difficoltà che i pazienti affetti da questa malattia rara incontrano nella gestione del proprio quotidiano. Nei periodi in cui si manifestano i sintomi, questi pazienti fanno fatica a concentrarsi e a svolgere le proprie attività di studio o quelle lavorative.

Si assentano in media 39 giorni dal lavoro o da scuola. A ciò si aggiunge che più del 50% delle persone con anemia falciforme effettua trasfusioni di sangue almeno una volta al mese.

Problemi nella diagnosi

Rispetto alla diagnosi, emerge inoltre che la stessa viene effettuata e comunicata al paziente, in oltre 4 casi su 10 (43%), da un centro diverso rispetto a quello in cui si è in cura. Non manca tuttavia chi è arrivato alla diagnosi dopo una peregrinazione tra più centri di cura (28%). In pochi casi la diagnosi è avvenuta in seguito a un evento traumatico durante il parto, oppure nello stesso centro presso il quale si è ancora in cura.

Inoltre, in un terzo dei casi raccontati (33%) viene specificato come inizialmente sia stata fatta una diagnosi diversa da quella di anemia falciforme, confusa con altre forme di anemia – in particolare la Beta Talassemia – o altre condizioni quali dolori della crescita e reumatismi.

L’approvazione di AIFA e lo studio SUSTAIN

L’approvazione dell’AIFA all’uso del Crizanlizumab di Novartis fa seguito al parere positivo espresso dal Comitato per i medicinali per uso umano – CHMP – dell’Agenzia Europea del Farmaco e alla stessa approvazione dell’EMA, emesso a ottobre 2020 sulla base dei risultati dello studio clinico SUSTAIN, il quale ha dimostrato che questo farmaco ha ridotto in modo significativo il tasso annuale mediano di crisi vaso-occlusive, con un meno 45% (1,63, rispetto al 2,98 del placebo).
Inoltre, sono state osservate riduzioni della frequenza delle crisi tra i pazienti, a prescindere dal genotipo dell’anemia falciforme e dall’uso di idrossiurea o idrossicarbamide.

Altresì, è stato riscontrato un aumento di oltre il doppio della percentuale di pazienti con assenza di crisi vaso-occlusive che hanno completato lo studio, rispetto al placebo. Lo studio ha infine evidenziato le capacità del Crizanlizumab di ridurre il tasso annuale mediano di giorni di ricovero in ospedale del 42% (4 giorni per Crizanlizumab a fronte di 6,87 giorni per il placebo).

Il Crizanlizumab

Il Crizanlizumab, designato farmaco orfano, si lega alla P-selectina, una proteina di adesione cellulare che svolge un ruolo centrale nelle interazioni multicellulari che possono provocare vaso-occlusione.

Questa molecola, alla quale AIFA ha riconosciuto il requisito dell’innovatività condizionata – elemento questo che ne garantisce l’immediato inserimento nei prontuari – può essere somministrato come terapia aggiuntiva a idrossiurea-idrossicarbamide o come monoterapia nei pazienti per i quali il trattamento di irdossiurea-idrossicarbamide risulta inappropriato o inadeguato, dove con ciò si intende una efficacia non sufficiente o la presenza di problematiche di tollerabilità, insufficiente compliance.

«L’approvazione della rimborsabilità in Italia della prima terapia mirata per le crisi vaso-occlusive ricorrenti rappresenta una notizia molto importante sia per la comunità dei pazienti sia per i clinici», ha commentato Lucia De Franceschi. «Crizanlizumab, grazie al suo peculiare meccanismo, agisce direttamente sulla vasculopatia infiammatoria cronica, che sta alla base delle numerose complicanze cliniche dei pazienti con sindrome falciforme. Inoltre, il Crizanlizumab ha un profilo di unicità che lo rende molto interessante per noi medici perché potrebbe aiutarci a gestire anche quei pazienti che hanno fallito o non accettano terapie considerate standard».

Trattandosi di una patologia che interviene sin dai primi mesi di vita, è attualmente in corso uno studio pediatrico che coinvolge anche tre centri italiani per una eventuale estensione del suo uso anche al target 2-16 anni.

Elena D’Alessandri