Alzheimer, lecanemab riduce declino cognitivo e funzionale ma attenzione agli effetti collaterali

Agli inizi del 2023 un team internazionale ha pubblicato uno studio clinico di fase 3 dedicato all’anticorpo monoclonale lecanemab, indirizzato contro le protofibrille solubili di proteina beta-mieloide (Aß). Lo studio, ripreso anche durante il meeting annuale dell’American Academy of Neurology (AAN 23), ha quindi valutato l’efficacia della terapia nel contrastare i sintomi dell’Alzheimer nelle fasi iniziali della malattia.

Durato 18 mesi, lo studio ha coinvolto 1795 pazienti, divisi in modo casuale in due gruppi: 898 al gruppo di studio, che ha ricevuto ogni 2 settimane l’anticorpo monoclonale per via intravenosa alla dose di 10 mg per kg di peso; 897 al grupo di controllo, che ha invece ricevuto un placebo.

I partecipanti hanno una età compresa tra 50 e 90 anni e presentano già marcatori di malattia, in particolare presenza di accumuli di proteina Aß rivelata alla PET o nel fluido cerebrospinale. Gli autori erano interessati in primis a valutare gli effetti della terapia sul “Clinical Dementia Rating–Sum of Boxes” (CDR-SB), e in secondo luogo sulla Aß rilevata alla PET. Il CDR-SB di base era più o meno simile per tutti e pari a 3,2.

Il team ha poi valutato altri indici tipicamente utilizzati dagli specialisti che lavorano con l’Alzheimer: “14-item cognitive subscale of the Alzheimer’s Disease Assessment Scale (ADAS-cog14)”, “Alzheimer’s Disease Composite Score (ADCOMS)”, lo score “Alzheimer’s Disease Cooperative Study–Activities of Daily Living Scale for Mild Cognitive Impairment (ADCS-MCI-ADL). Dopo 18 mesi di terapia, gli autori hanno potuto osservare una maggiore diminuzione della Aß a livello cerebrale nel gruppo di studio, rispetto al placebo. Inoltre, il gruppo di studio ha ottenuto miglioramenti anche negli indici secondari presi in considerazione dallo studio.

Lo studio ha però messo in evidenza anche qualche aspetto negativo di questo anticorpo monoclonale: il 26,4% dei pazienti trattati con lecanemab ha avuto reazioni correlate all’infusione, nel 12.6% dei casi causa di edema o effusione, mentre nel gruppo placebo le reazioni avverse sono state il 7,1%.

Tuttavia, il primo autore dello studio, Christopher H. van Dyck, professore di Psichiatria, Neurologia e Neuroscienze e direttore dell’Unità di ricerca sulla malattia di Alzheimer presso la Yale School of Medicine, ha dichiarato: «Lecanemab ha raggiunto tutti gli endpoint primari e secondari e il profilo di sicurezza era accettabile. Gli studi sui biomarcatori hanno rivelato che Lecanemab ha migliorato entrambe le caratteristiche biologiche essenziali dell’Alzheimer, amiloide e tau, indicando una modificazione biologica della malattia».

(Lo studio: van Dyck CH, Swanson CJ, Aisen P, Bateman RJ, Chen C, Gee M, Kanekiyo M, Li D, Reyderman L, Cohen S, Froelich L, Katayama S, Sabbagh M, Vellas B, Watson D, Dhadda S, Irizarry M, Kramer LD, Iwatsubo T. Lecanemab in Early Alzheimer’s Disease. N Engl J Med. 2023 Jan 5;388(1):9-21. doi: 10.1056/NEJMoa2212948. Epub 2022 Nov 29. PMID: 36449413)