Una malattia autoimmune caratterizzata da una rapida caduta di capelli, ciglia e sopracciglia. È l’alopecia areata, una condizione che provoca disagio emotivo e sociale, contro la quale i trattamenti sono a oggi limitati.
La genesi del disturbo coinvolge le citochine, tra cui l’interferone gamma e l’interleuchina-15, le quali a loro volta dipendono dalle Janus chinasi (Jak) per la segnalazione intracellulare. Ricerche precedenti hanno evidenziato che gli inibitori di Jak potrebbero contribuire ad arginare la patologia.
È a partire da ciò che un gruppo internazionale di ricercatori, guidati da Brett King, professore associato di dermatologia alla Yale University School of Medicine di New Haven, nel Connecticut, Stati Uniti, ha ipotizzato che baricitinib, un inibitore orale, selettivo e reversibile di Jak 1 e 2, potesse rivelarsi efficace nel trattamento della malattia.
Due studi di fase 3
Per verificare l’ipotesi gli studiosi hanno condotto, tra il 2019 e il 2020, in 169 centri in dieci Paesi, due studi in doppio cieco, randomizzati, controllati con placebo, di fase 3, chiamati Brave 1 e Brave 2, recentemente pubblicati su The New England Journal of Medicine.
In totale sono stati arruolati 1.200 pazienti (maschi con un’età compresa tra i 18 e i 60 anni, donne tra i 18 e i 70), di cui 654 nello studio Brave 1 e 546 in Brave 2, con grave alopecia areata che dura da più di sei mesi e da meno di otto anni, con un punteggio Salt (Severity of alopecia tool) pari o superiore a 50 (in un intervallo da 0 a 100, in cui 0 equivale a nessuna caduta dei capelli, 100 a caduta completa).
In particolare, il 53,2% degli assistiti presentava una malattia molto grave, con punteggio Salt compreso tra 95 e 100, e il 90,6% aveva già assunto almeno una precedente terapia contro la patologia.
Esiti primario e secondari
I pazienti hanno ricevuto in modo casuale una volta al giorno baricitinib alla dose di 4 milligrammi, baricitinib alla dose di 2 milligrammi o placebo per 36 settimane. L’esito primario era ottenere un punteggio Salt pari o inferiore a 20 al termine del trattamento.
Sono stati, inoltre, analizzati dieci esiti secondari, considerando, per esempio, il punteggio Pro (Scalp hair assessment patient-reported outcome), il punteggio Clinician-reported outcome (Clinro) per la perdita delle sopracciglia e il punteggio Clinician-reported outcome (Clinro) per la perdita delle ciglia.
Farmaco più efficace del placebo
La percentuale di assistiti che ha raggiunto l’obiettivo principale era in Brave 1 38,8% con baricitinib a 4 milligrammi, 22,8% con baricitinib a 2 milligrammi e 6,2% con placebo e in Brave 2 35,9%, 19,4% e 3,3% rispettivamente.
Nel primo studio, la differenza tra la molecola alla dose più alta e il placebo era di 32,6 punti percentuali, mentre quella tra la molecola alla dose più bassa e il placebo era di 16,6 punti. Nel secondo studio, i valori erano rispettivamente di 32,6 punti e di 16,1.
La maggior parte dei pazienti in cui è stato raggiunto l’endpoint primario aveva punteggi Salt pari o inferiori a 10 alla trentaseiesima settimana. Per quanto riguarda gli endpoint secondari, sono stati confermati i risultati ottenuti per l’esito primario con baricitinib a 4 milligrammi, ma non a 2 milligrammi.
Acne e infezioni tra gli eventi avversi
Come annunciato al congresso dell’American Academy of Dermatology, che si è tenuto a Boston dal 25 al 29 marzo 2022, i risultati positivi ottenuti dopo 36 settimane sono stati confermati, e anzi sono migliorati, dopo 52 settimane di trattamento, visto che il 5% in più degli assistiti ha raggiunto l’endpoint primario.
Tra gli effetti collaterali comuni rilevati in entrambi gli studi, sono stati segnalati acne, infezioni del tratto respiratorio superiore, cefalea, infezioni urinarie, herpes zoster, livelli elevati di creatinchinasi e di colesterolo.
Paola Arosio