Acido valproico, ecco il meccanismo con il quale può nuocere al feto

Sintetizzato per la prima volta nel 1882 dal chimico americano Beverly S. Burton come analogo dell’acido valerico e commercializzato a partire dal 1962, l’acido valproico è prescritto per il trattamento dell’epilessia, del disturbo bipolare e dell’emicrania.

Tuttavia è noto dagli anni Sessanta che il suo impiego in donne in gravidanza implica un rischio di malformazione fetale dell’11%, una percentuale più elevata rispetto a quella di altri antiepilettici. Inoltre, dagli anni Ottanta si sa anche che nel 30-40% dei casi può produrre nei nascituri dei ritardi nello sviluppo neurologico e cognitivo, spesso accompagnati da disturbi dello spettro autistico.

Il farmaco induce senescenza cellulare

Malgrado ciò, la conoscenza di questi effetti nocivi è ancora scarsa e, soprattutto, rimangono sconosciuti i meccanismi attraverso i quali il farmaco causa tali problemi. Per indagare su questi aspetti, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Genetica e Biologia Molecolare e Cellulare di Illkirch, in Francia, ha condotto uno studio su embrioni di topo e su organoidi umani, cioè colture cellulari in tre dimensioni simili a organi in miniatura.

La sperimentazione ha consentito agli scienziati di evidenziare che il principio attivo induce la senescenza delle cellule neuroepiteliali, ovvero le staminali che danno origine al sistema nervoso centrale.
«Si tratta di una sorta di blocco, che impedisce loro di svilupparsi e di dividersi correttamente», precisa Muriel Rhinn, prima autrice del lavoro.

Il ruolo della molecola p19Arf

Responsabile della senescenza sarebbe p19Arf, un importante mediatore cellulare. Prova ne è il fatto che, quando il team ha esposto al medicinale durante la gestazione roditori privi di questa molecola, non si sono verificati nella prole ritardi nel neurosviluppo, né alterazioni dei geni associati all’autismo, sebbene si siano manifestati altri difetti.

«La nostra ricerca è una delle prime a mettere in relazione senescenza cellulare e difetti dello sviluppo», commenta Rhinn. «Sebbene quest’ultima sia stata a lungo associata all’invecchiamento e alle malattie correlate all’età, ora è stato evidenziato che l’induzione aberrante della senescenza può anche contribuire a malformazioni durante la crescita».

Paola Arosio